NASpI a Rischio per Docenti e ATA che Cambiano Scuola Durante l’Anno

Dal 1° gennaio 2025 è entrata in vigore una modifica importante che limita la possibilità di accedere alla NASpI per tutti i lavoratori che, nel corso dell’anno, decidono di dimettersi da un incarico a tempo indeterminato per accettarne un altro, magari più vicino a casa o più conveniente.

La stretta è stata introdotta dalla Legge di Bilancio 2025 (legge 207/2024) e interessa in particolare il personale della scuola, come docenti e collaboratori ATA, che spesso cambiano scuola o contratto nel corso dell’anno scolastico.

La circolare INPS n. 98 del 5 giugno 2025 fornisce indicazioni importanti. Vediamole.

I nuovi requisiti per ottenere la NASpI

La riforma ha introdotto un principio molto chiaro: chi lascia volontariamente un contratto stabile, non può ricevere la disoccupazione nel caso in cui resti senza lavoro dopo un nuovo impiego a termine, se tra le due cessazioni non ha accumulato almeno 13 settimane di contributi. In alternativa, si può avere accesso alla NASpI solo se sono passati almeno 12 mesi dalla prima cessazione volontaria.

Questa misura è pensata per contrastare l’uso strategico della disoccupazione da parte di chi, ad esempio, lascia un lavoro fisso per svolgere brevi incarichi solo con l’intenzione di ottenere poi l’indennità NASpI.

Tuttavia, questa scelta normativa impatta fortemente proprio su categorie molto dinamiche come gli insegnanti e il personale ATA, spesso costretti a cambiare sede o tipo di contratto per esigenze personali o familiari.

NASpI, cosa succede a docenti e ATA in caso di cambio scuola

Facciamo un esempio concreto. Un docente decide ad aprile 2025 di dimettersi da un incarico a tempo indeterminato in una scuola distante da casa, per accettare un contratto più vicino ma a tempo determinato. Questo nuovo incarico termina il 30 giugno 2025, con la naturale scadenza delle attività didattiche. Tuttavia, tra la data delle dimissioni e la fine del nuovo contratto non sono passate 13 settimane effettive di contribuzione.

In questo caso, anche se la perdita del secondo lavoro è del tutto involontaria (scadenza naturale del contratto), l’INPS nega l’accesso alla NASpI, in quanto il lavoratore non ha maturato il requisito delle 13 settimane contributive. Se invece il contratto a termine fosse durato fino al 31 agosto, permettendo di superare le 13 settimane, il diritto alla disoccupazione sarebbe stato garantito.

Una penalizzazione per chi vuole tornare vicino casa

Il nuovo meccanismo, se da un lato risponde a un’esigenza di contenimento della spesa pubblica e di contrasto all’uso improprio dell’indennità NASpI, dall’altro rischia di penalizzare duramente proprio i lavoratori più fragili e flessibili, come il personale scolastico.

In particolare, colpisce i docenti e ATA che decidono di riorganizzare la propria vita familiare o lavorativa, rinunciando a un incarico stabile per tornare in una sede più vicina o per motivi personali. Se il nuovo incarico non garantisce la copertura minima contributiva richiesta, infatti, si trovano senza né lavoro né alcun sostegno al reddito.

Le eccezioni previste dalla normativa

Esistono comunque alcune importanti eccezioni a questa regola. Le dimissioni volontarie non fanno scattare il vincolo delle 13 settimane se:

  • sono avvenute per giusta causa, come ad esempio un trasferimento forzato senza motivazione o mobbing;
  • sono intervenute durante periodi protetti come la maternità obbligatoria o il congedo parentale;
  • sono avvenute all’interno di una procedura di conciliazione presso l’Ispettorato del Lavoro (dimissioni consensuali);
  • sono dovute a un rifiuto di trasferimento superiore a 50 km o 80 minuti di percorrenza con mezzi pubblici.

In tutti questi casi, anche se tra la cessazione del primo rapporto e quella successiva non sono maturate le 13 settimane, l’accesso alla NASpI resta comunque possibile.

Cosa conviene fare per non perdere la NASpI

Per evitare brutte sorprese e vedersi negato l’accesso alla disoccupazione NASpI, chi sta valutando di lasciare un incarico stabile per un nuovo contratto a termine dovrebbe:

  • accertarsi della durata effettiva del nuovo contratto e verificare se consente di raggiungere le 13 settimane;
  • valutare la possibilità di rimandare le dimissioni, nel caso il nuovo impiego non dia garanzie di continuità;
  • verificare se sussistono le condizioni per rientrare tra le eccezioni, come la giusta causa o i casi di dimissioni protette.