Dipendenti Pubblici Indebitati: 5 Soluzioni

Negli ultimi anni, i Dipendenti pubblici hanno visto erodersi progressivamente il loro potere d’acquisto. I motivi sono molteplici: l’inflazione che continua a viaggiare su livelli ben più alti rispetto agli aumenti contrattuali, l’aumento vertiginoso delle rate dei mutui a tasso variabile, e il mancato adeguamento sistematico degli stipendi al costo reale della vita.

Nonostante alcuni interventi spot del governo — come il temporaneo abbattimento del cuneo fiscale o il bonus una tantum — le misure messe in campo si sono rivelate insufficienti. Gli aumenti salariali stabiliti dai rinnovi contrattuali 2022-2024, infatti, hanno coperto solo in parte la perdita dovuta al caro-vita, lasciando molti lavoratori pubblici in seria difficoltà economica.

Secondo i dati aggiornati al primo semestre 2025, il potere d’acquisto medio di un dipendente pubblico rispetto al 2019 si è ridotto del 13,7%. In particolare, chi ha in carico famiglie monoreddito, persone disabili, o genitori non autosufficienti, si trova spesso costretto a ricorrere a prestiti per fronteggiare le spese quotidiane.

Prestiti, cessioni del quinto e debiti: una spirale pericolosa per i Dipendenti pubblici

L’accesso al credito per i dipendenti pubblici è relativamente agevole, grazie alla stabilità contrattuale e alle garanzie di pagamento offerte dalla Pubblica Amministrazione, banche e società finanziarie tendono ad approfittare di queste garanzie anche se, tuttavia, questa facilità può trasformarsi in una trappola.

Sempre più lavoratori finiscono strozzati da un indebitamento multiplo e stratificato, che grava direttamente sullo stipendio o sulle finanze familiari. Le forme di finanziamento più diffuse sono:

  • Cessione del quinto dello stipendio: trattenuta diretta con rata mensile fino al 20% dello stipendio netto.
  • Delegazione di pagamento: un secondo prestito parallelo alla cessione del quinto, con trattenuta analoga.
  • Piccoli prestiti INPS: spesso richiesti tramite il Fondo credito, ma non sempre sufficienti a coprire le emergenze.

A questi si aggiungono le fonti di debito extrastipendio:

  • Prestiti personali con istituti bancari;
  • Carte revolving ad alto tasso d’interesse;
  • Mutui ipotecari a tasso variabile, che tra il 2022 e il 2024 hanno visto aumenti anche del 40% nelle rate mensili.

Il rischio è che la somma delle uscite mensili superi le entrate nette, con conseguente insolvenza, protesti o situazioni di sofferenza bancaria.

La ristrutturazione del debito: una strada possibile, ma complessa per i Dipendenti pubblici

Dal 2019, anche i cittadini privati e i dipendenti pubblici possono accedere alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, prevista dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.lgs. n. 14/2019).

Questa procedura, tuttavia, è spesso poco conosciuta e scarsamente utilizzata per una serie di motivi:

  • Costi elevati: occorre rivolgersi a un avvocato o a un gestore della crisi, con parcelle che possono superare i 3.000 euro.
  • Tempi lunghi: l’elaborazione del piano e l’approvazione da parte dell’Organismo di Composizione della Crisi possono richiedere anche 12-18 mesi.
  • Condizioni stringenti: serve il consenso dei creditori (in parte), e occorre dimostrare una situazione di insolvenza non colpevole.

La ristrutturazione può risultare conveniente per quei lavoratori che possiedono immobili, poiché possono offrire come garanzia parte del valore patrimoniale per rientrare gradualmente dal debito.

TFS e TFR: perché non anticiparli anche nel pubblico?

Un altro nodo critico riguarda l’accesso all’anticipo del TFR (Trattamento di Fine Rapporto) o del TFS (Trattamento di Fine Servizio). A differenza dei lavoratori del settore privato, i dipendenti pubblici non possono ottenerne l’erogazione immediata, nemmeno in presenza di eventi eccezionali.

Attualmente, il TFS viene pagato con ritardi che possono arrivare a 5 anni dopo il pensionamento, e suddiviso in più tranche. L’anticipo tramite convenzioni bancarie è possibile solo in alcuni casi, ma resta un’operazione costosa e poco vantaggiosa.

Una proposta concreta? Consentire un anticipo del TFR/TFS garantito dall’INPS stesso, con un tasso d’interesse calmierato e sostenuto dal Fondo credito. Questo meccanismo:

  • Non graverebbe direttamente sul bilancio dello Stato;
  • Sarebbe più sostenibile rispetto a prestiti bancari ad alto tasso;
  • Rappresenterebbe una boccata d’ossigeno per i lavoratori in difficoltà temporanea;
  • Aumenterebbe la fiducia nel sistema previdenziale pubblico.

Una misura di questo tipo era già stata attuata nel 2023, ma i fondi si sono rivelati insufficienti.

Le soluzioni possibili: cosa può (e deve) fare la politica

Serve una strategia strutturale, non misure temporanee. Ecco alcune proposte che potrebbero essere inserite nell’agenda politica e sindacale per migliorare la condizione dei dipendenti pubblici italiani:

1. Indicizzazione automatica degli stipendi

Prevedere un meccanismo di adeguamento automatico al costo della vita, almeno per le fasce retributive basse, con aggiornamento annuale basato sull’indice ISTAT già previsto per i pensionati.

2. Sblocco immediato dell’anticipo TFR/TFS

Legiferare sull’estensione del diritto all’anticipo, con convenzioni agevolate tramite l’INPS o banche pubbliche.

3. Riforma della cessione del quinto

Introdurre tetti più rigidi per la somma delle trattenute, vietando la combinazione simultanea di più prestiti sulla busta paga.

4. Educazione finanziaria obbligatoria

Campagne di educazione finanziaria per i lavoratori della PA, da parte di INPS, MEF o sindacati, per prevenire l’abuso del credito.

5. Ampliamento e semplificazione della legge sul sovraindebitamento

Rendere le procedure di composizione più accessibili e meno onerose, con un fondo statale per coprire i costi legali in presenza di ISEE basso.

Tabella Riassuntiva – Problemi e soluzioni per i dipendenti pubblici in difficoltà economica