Ferie Non Pagate ai Supplenti: il Paradosso che Penalizza Migliaia di Lavoratori della Scuola

Ogni anno, alla chiusura delle scuole, migliaia di insegnanti e personale ATA con contratto a tempo determinato si ritrovano davanti allo stesso problema: le ferie maturate ma non retribuite. Una questione che sembra senza fine, fatta di norme contraddittorie, circolari ministeriali e interpretazioni divergenti tra istituti.

Dietro a quella che può sembrare una disputa burocratica, si nasconde in realtà una battaglia di dignità e diritti per una fetta consistente del personale scolastico: i supplenti.

Ferie non pagate: una legge che complica le cose

Tutto nasce dal 2012, quando il governo Monti, con la famosa spending review, decise di limitare drasticamente la spesa pubblica. Tra le varie misure, arrivò anche il divieto di “monetizzare” le ferie non godute: in pratica, le ferie dovevano essere prese, non pagate.

Peccato che la scuola funzioni in modo particolare. I supplenti, infatti, lavorano per periodi limitati, spesso fino alla fine delle lezioni o fino al termine dell’anno scolastico. E quando arriva il momento delle vacanze estive, il loro contratto è già scaduto.

Per questo motivo, nello stesso anno, il Parlamento introdusse una deroga: i supplenti, se non possono prendere le ferie, hanno diritto a farsene pagare l’equivalente in busta paga. Almeno sulla carta.

Scuole in difficoltà: tra regole e paura di sbagliare

Se la legge sembra chiara, nella realtà quotidiana delle scuole le cose si complicano. Molti dirigenti scolastici rifiutano di pagare le ferie non godute, sostenendo che i supplenti avrebbero potuto utilizzarle durante i giorni di sospensione delle lezioni (ad esempio a Natale o Pasqua). Tuttavia, i dirigenti devono dimostrare nero su bianco che i supplenti sono stati invitati a prendere le ferie e che sono stati avvisati delle conseguenze in caso contrario. In caso di errori, rischiano di dover restituire le somme indebitamente pagate e di essere sanzionati.

Risultato? Molti Dirigenti Scolastici scelgono la strada più “sicura” per loro: non liquidare nulla. E i precari restano senza né ferie né soldi.

Ferie non pagate: i giudici fanno chiarezza

La giustizia, però, non è sempre dalla parte delle scuole. Una sentenza della Corte di Cassazione del 2022 ha stabilito che i supplenti hanno diritto all’indennità sostitutiva delle ferie non godute, a meno che non abbiano ricevuto un invito formale a prenderle.

Questo significa che non basta dire “potevi farlo”: il dirigente deve dimostrare di aver avvisato il supplente in maniera precisa e scritta, spiegando che altrimenti avrebbe perso il diritto sia alle ferie sia al pagamento.

Si tratta di un passaggio fondamentale, perché mette il peso della prova sulle scuole e non sui lavoratori. Eppure, nonostante la sentenza, molti istituti continuano a ignorarla, costringendo i supplenti a ricorrere al giudice per vedersi riconoscere il dovuto.

I supplenti tra due fuochi

In mezzo a questa giungla normativa e burocratica, chi paga davvero il prezzo sono i precari.

Immaginiamo un insegnante con un contratto fino al 30 giugno. Durante l’anno, tra lezioni, scrutini ed esami, non ha avuto modo di prendersi ferie. Alla scadenza del contratto, scopre che le giornate maturate non verranno pagate, perché “avrebbe potuto prenderle a Natale”. Ma a Natale aveva una supplenza piena, e in ogni caso nessuno gli aveva comunicato che quelle ferie dovevano essere usate in quel periodo.

La questione delle ferie non pagate non è solo un problema tecnico, ma anche politico e sociale. Se da un lato lo Stato cerca di contenere la spesa, dall’altro migliaia di lavoratori vedono negati diritti fondamentali.

Due le possibili soluzioni:

  1. Un intervento legislativo chiaro, che tolga ogni ambiguità e stabilisca in modo inequivocabile quando i supplenti hanno diritto alla monetizzazione delle ferie.
  2. Procedure più semplici e trasparenti, per evitare che ogni singolo lavoratore debba andare in tribunale per ottenere quanto spetta.

Tabella riassuntiva