Gli aumenti in busta paga annunciati dal governo per il 2026 rischiano di essere solo apparenti. Secondo quanto riporta la Repubblica, l’esecutivo sta studiando una flat tax sulle voci variabili della retribuzione: straordinari, festivi e lavoro notturno.
In questo modo il netto in busta paga crescerebbe grazie a una tassazione più leggera. A patto che il lavoratore faccia più ore in azienda.
Per finanziare questa misura, che entrerebbe nella Manovra di Bilancio 2026, servono risorse. L’idea di Palazzo Chigi, spiega la Repubblica nell’edizione del 26 agosto, è di chiedere un contributo alle banche.
Gli istituti di credito dovrebbero farsi carico della copertura, come già accaduto in passato con la tassa sugli extraprofitti o con lo stop alla deduzione delle imposte differite attive (Dta). Ma le banche non assorbono mai questi costi: li ribaltano.
Il meccanismo è semplice. Lo Stato tassa gli istituti, le banche aumentano i canoni dei conti correnti, le commissioni, i costi dei prestiti e dei mutui.
Così quello che il lavoratore guadagna in busta paga con la flat tax sugli straordinari rischia di perderlo nello stesso momento attraverso servizi bancari più cari. In pratica, gli stessi dipendenti finiscono con il finanziarsi la detassazione.
Con la conseguenza non valutata che in futuro la flat tax cadrà, mentre gli aumenti degli oneri bancari resteranno. Per cui il costo sul dipendente sarà almeno “doppio”.
Il risultato è una partita di giro che annulla l’effetto promesso. La flat tax sugli straordinari, presentata come un aiuto concreto ai salari, rischia di trasformarsi in un favore pagato dagli stessi lavoratori. Più netto in busta paga da una parte, ma spese bancarie più pesanti dall’altra. Con il saldo finale vicino allo zero.