Roma, 15 Dicembre 2020. Mentre si discute solo di tavoli di esperti con vaghe linee di azione contenute nel Recovery plan sull’uso dei 209 miliardi messi a disposizione dall’Europa, si continua imperturbabili a pensare chi e come sarà nella cabina di regia senza scendere, in quei dettagli di piano di ripartenza, che già a settembre, nazioni confinanti esplicitavano dettagliatamente, considerandoli essenziali ai fini di una pragmatica valutazione.
Inoltre, grida vendetta la distribuzione delle risorse messe in campo, con quei 9 miliardi (forse qualcuno in più con la legge di bilancio) dedicati alla sanità, depauperata di ben 35 miliardi in dieci anni di sciagurato definanziamento con desertificazione delle piante organiche, sottoposta, con il suo personale, a stress di ogni sorta, in questo lungo anno di epidemia.
Ma grida vendetta anche la quota e il capitolo dedicati alla parità di genere ,se ha meritato solo un aggiustamento formale del titolo, e per giunta solo in extremis, sotto la voce politiche sociali .
Mi permetto di esprimere dubbi e perplessità sulla mancanza di metodo che traspare a una lettura di questo piano, per non dire della totale assenza di visione complessiva della società Italiana, gravata da croniche disuguaglianze che come un fardello, anzi una vera e propria palla al piede, hanno portato a quel record di denatalità e squilibrio demografico dell’Italia dell’ultimo quinquennio, foriero di avvitamenti perversi sull’occupazione e stagnazione, già presenti purtroppo prima del coronavirus e che la pandemia ha acuito moltiplicandoli.
E mi riferisco alla questione delle questioni: la disparità di genere e il suo deleterio effetto traino su tanti aspetti della cura che, se non risolta e non affrontata, rischia di portare, anche in presenza di ingenti risorse, occasione unica nella storia di questo stato, a un maggiore squilibrio e maggiori diseguaglianze in questo nostro paese.
Rigidità consolidate, da decenni, hanno reso difficile fare figli e le donne si ritrovano con un tasso di occupazione nel 2019, già prima della pandemia di 10 punti in meno, cioè come prima del 2008.
Si perché la cura di bambini, disabili e anziani, in questa nazione si è basata e si basa da sempre sul lavoro non retribuito delle donne .
Però, nel Recovery plan notiamo un intero capitolo dedicato a infrastrutture della mobilità sostenibile, e nessun capitolo per anziani, disabili e bambini, solo un family act senza grande respiro, mentre proprio alla questione femminile sono legati i nodi irrisolti della Cura.
Il lavoro non sia per la donna come lo è stato, nemico del Progetto di Vita, come quando si diceva che il risparmio, legato all’avanzamento dell’età pensionabile si sarebbe riversato su piani, atti a superare diseguaglianze ataviche e strutturali. Cosa non avvenuta proprio per la mancanza di visione di sistema.
Ma adesso, e se non ora quando, è arrivato il momento per averla questa visione e superare i nodi cruciali che bloccano e hanno bloccato la società .
Proprio adesso che, col coronavirus, il calo della occupazione (470.000 posti di lavoro in meno per le donne) ha interessato gli uomini per 2% mentre le donne per quasi il 3%, perché occupate in modo più o meno precario, in quei settori come il turismo, la comunicazione, servizi alla persona che hanno risentito di più della mannaia del lockdown.
Lockdown e convivenza forzata, cui si lega la triste vicenda dell’aumento della violenza domestica sulle donne, con chiamate al 1522 quintuplicate
Il mancato accesso delle donne al mondo del lavoro, o comunque un accesso segregato e alle professioni meno remunerative, si accompagna al perdurante disvalore sociale della maternità in particolare in ambiti del lavoro organizzato di cura come, per esempio per le donne medico, con discriminazioni sul lavoro e le penalizzazioni di carriera, legate proprio a gravidanza e parto .
Discriminazioni, vigenti in modo arrogante in molti settori e più che mai in sanità, con le sue segregazioni orizzontali e verticali, insieme alle altre cause, trascinano con se ‘drammatica denatalità e squilibrio generazionale che non portano, sicuramente a un futuro evolutivo di crescita.
Avere una visione olistica nell’affrontare la questione femminile e le sue criticità e tutto quanto ad essa connesso, adottando una progettazione di sistema con investimenti nelle infrastrutture sociali e sanitarie del nostro paese, è diventato urgente e doveroso, per “costruire una società con maggiore equilibrio e non una società con maggiori disuguaglianze.”
Se il nostro Paese non lo fa adesso è perché non lo vuole fare.
Con il Next Generatione EU e adesso Italia, sembra finalmente arrivato il tempo, per affrontare quanto l’Europa ci suggerisce da anni, superare le diseguaglianze di genere e investire in quella che viene considerata da più parti l’ ECONOMIA DELLA CURA, cioè nelle infrastrutture sociali e sanitarie, fino ad oggi considerate una spesa, ma che, invece, vanno intese come un virtuoso investimento per il futuro, proprio per le nuove generazioni, affinché non debbano sopportare negli anni avvenire un duro gap sociale nei confronti di altre e numerose nazioni di Europa.
Infrastrutture sociali significa investire nella Istruzione, nei servizi educativi di qualità’ per la infanzia, nella scuola, nella formazione di docenti e discenti e , nella ricerca, con un opportuno piano di assunzione di lungo respiro di personale nella P.A, atta a ottenere qualità, perché senza personale non c’è qualità’.
Inserire la cura come paradigma economico, credo che sia la parte più innovativa di un percorso di investimenti che possono portare a un futuro dignitoso da consegnare alle prossime generazioni.
Proprio adesso che sistemi di assistenza sociosanitaria in atto per anziani e fragili si sono rivelati inadeguati e con molte falle per fronteggiare la crisi epidemica, proprio adesso che le donne sono state le forza lavoro più impegnata sul fronte sanitario contro l’epidemia, proprio adesso la cura, secondo me, va intesa nel senso più ampio possibile, comprendente sì la cura di bambini, di anziani e disabili ma anche la Salute.
Vanno cercati e adottati modelli di Welfare non più solo sussidiario che restituiscano qualità di vita e tempo alle donne, così come modelli diversi e innovativi di assistenza sociosanitaria che rispondano in modo più efficace alla pandemia, in una visione olistica e progettazione di sistema dove i servizi di prossimità, le cure domiciliari abbiano una organizzazione strutturale, ripensando i modelli di lavoro in atto in ospedale e nel territorio.
Investire il 2% di Pil sull’Economia della Cura produce effetti moltiplicatori molto più che investire in edilizia.
Più tempo per le donne significa liberare risorse e energie per più occupazione delle donne stesse, come altre nazioni ci confermano, per più natalità e più crescita economica .Dal 6 al 10 % del Pil ci dicono gli economisti.
Insomma, per uno sguardo oltre l’orizzonte, si consideri le donne per quello che sono e possono essere, motore di crescita inclusiva e la Cura ” una cosa non solo di donne “ ma di tutta la società italiana.
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Fonte: cisl.it