HomeEconomia & Lavoro"Il turismo rischia la desertificazione" e il Recovery plan non basta"

“Il turismo rischia la desertificazione” e il Recovery plan non basta”

AGI – Il turismo, travolto da una “crisi nera” che ha dimezzato le presenze in Italia nel 2020 e ha prodotto una perdita di valore della produzione di 100 miliardi di euro, è tornato “indietro di 30 anni” e “rischia la desertificazione” a causa dell’impatto della pandemia. E’ il grido d’allarme lanciato in Parlamento dagli operatori del comparto che denunciano l’insufficienza dei fondi previsti dal Recovery plan per il settore.

Tasso di mortalità in crescita per le pmi del turismo

“In questo momento in Italia stiamo seriamente rischiando la desertificazione del comparto”, ha affermato il presidente di Federturismo Confindustria, Marina Lalli, intervenendo in audizione in Commissione Attività Produttive della Camera sul piano nazionale di Ripresa e Resilienza. “Temiamo che per le Pmi turistiche il tasso di mortalità possa raggiungere il 40% dell’offerta complessiva, con punte dell’80% per settori come le agenzie di viaggio e i tour operator o del 60% per quelle della cultura, della ristorazione e dell’intrattenimento”, ha spiegato il presidente di Federturismo sottolineando che “i nodi da sciogliere sono ancora molti e devono essere superati in fretta per non rischiare ritardi nei trasferimenti europei”.

8 miliardi nel Recovery plan non bastano 

Sulla stressa linea Confindustria Alberghi che ha ricordato come il 2020 appena trascorso sia stato “un anno di crisi nera” che “ ha più che dimezzato le presenze totali nel nostro Paese con un -56% rispetto all’anno precedente e un dato ancora più allarmante se si osserva il calo della componente straniera con un -72%”. 

“Abbiamo dinnanzi a noi un periodo ancora molto duro, Enit stima che il ritorno ai livelli pre crisi potrà affacciarsi all’orizzonte solo nel 2023 – ha affermato in audizione la vice presidente Maria Carmela Coalaicovo – per questo siamo sconcertati rispetto a quella che sembra la decisione di destinare nel Pnrr appena 8 miliardi a turismo e cultura. Due asset centrali nell’economia del Paese a cui viene riservato poco più del 2,5% delle risorse del piano a fronte di un impatto sul Pil che per il solo turismo vale oltre il 13% del totale. Ancora una volta la rilevanza del settore e la gravità della situazione in cui si trovano aziende e lavoratori appare largamente sottostimata”.    

A mettere in guardia anche Confturismo Confcommercio. Il Recovery plan, ha spiegato ai parlamentari Alberto Corti, prevede per il tema ‘Turismo e Cultura 4.0’ complessivamente 8 miliardi di euro, di cui al turismo vengono destinati effettivamente “1,5 miliardi di euro, 2,9 se si aggiungono altri interventi per i percorsi del ‘turismo lento’ e sulla formazione turistica in ambito culturale”: una cifra “del tutto insufficiente per realizzare, anche solo in parte, ciò che il Piano stesso dichiara come obiettivo”. Tutte le indicazioni del Piano, ha osservato Corti, sono “pienamente condivisibili” ma “hanno costi decisamente maggiori rispetto alle risorse che vengono allocate”.

In fumo 100 miliardi di euro

“Il pacchetto di supporti previsto dal Piano Next Generation EU – ha ricordato il rappresentante di Confturismo – è infatti un’opportunità imperdibile per il nostro sistema Paese, colpito pesantemente dalla crisi economica conseguente all’emergenza pandemica sviluppatasi dai primi mesi del 2020 e tutt’ora pienamente in corso. Ma lo è ancor di più per il turismo, che archivia l’anno 2020 con un calo degli arrivi pari a 78 milioni di unità, senza contare 36 milioni di viaggi degli Italiani all’estero che sono venuti a mancare, e di 240 milioni per quanto riguarda le presenze in Italia nel periodo marzo-dicembre: una crisi che si traduce in una perdita di valore della produzione di 100 miliardi di euro su 190, includendo nel computo gli effetti più immediati e diretti sull’indotto. Sono dati senza precedenti, che riportano il settore indietro di 30 anni e che, purtroppo, si ripropongono similari, nelle previsioni maggiormente accreditate, almeno per tutto il primo semestre del 2021″.

Le imprese chiedono un cambio di passo

Per Federalberghi, “al di là degli stanziamenti, che appaiono ancora insufficienti” continua “a mancare un cambio di passo, la capacità di guardare al cuore del problema”. “Il piano – ha spiegato il direttore di Federalberghi Alessandro Nucara – focalizza l’attenzione sui grandi attrattori culturali e sui borghi. I primi costituiscono un asset importante per il nostro sistema d’offerta turistica e i secondi potrebbero offrire un contributo allo sviluppo ed alla diversificazione dell’offerta”.

Ma, ha sottolineato, “non si possono dimenticare le altre componenti, che costituiscono una quota maggioritaria del mercato attuale. Potrei citare il turismo balneare, quello termale, la montagna, il congressuale, e tanti altri. Che a nostro avviso hanno la precedenza rispetto al turismo delle radici”.

Federterme da parte sua ha auspicato “che il Parlamento riveda il Recovery Plan sul turismo scorporandolo dalla cultura come hanno fatto tutti gli altri Paesi attuando anche azioni di investimento e non di sussidio”. Il presidente di Federterme Confindustria, Massimo Caputi, ha ricordato che “la Spagna, ad esempio, ha destinato 24 miliardi solo per il turismo” e ha evidenziato che il “Turismo sanitario è uno dei must in Europa: sempre la Spagna ha creato la piattaforma ‘Spain Care’ che sta generando dei flussi di turismo sanitario impressionanti da tutto il mondo”. 

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Fonte: agi.it

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