Accade in provincia di Belluno, dove dieci operatori sanitari delle strutture Sersa e Sedico Servizi sono stati messi in ferie forzate per due settimane dopo aver rifiutato il vaccino Pfizer. La questione è stata portata in Tribunale dagli stessi lavoratori spinti dal timore di essere successivamente sospesi e non retribuiti nel caso in cui continuino a rifiutare la vaccinazione, che si è poi pronunciato a favore della scelta aziendale.
Lo sottolinea il quotidiano Corriere della Sera in edicola oggi che riporta le motivazioni che stanno alla base della sentenza:
“<La loro permanenza nelle Case di riposo comporterebbe la violazione dell’obbligo che impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei suoi dipendenti>, scrive il giudice Anna Travia. Quanto al timore di rimanere senza stipendio, il magistrato ha liquidato la cosa come “insussistente” perché non c’è <alcun elemento da cui poter desumere l’intenzione del datore di lavoro di procedere in tal senso o al licenziamento>. In realtà, il rischio c’è, come dice lo stesso amministratore della Servizi sociali assistenziali (Sersa), Paolo Santesso, una delle due strutture in questione”.
Come evidenziato dallo storico quotidiano milanese, a scontrarsi sono due diritti: quello sancito dall’art. 32 della Costituzione (tutela della salute) e quello sancito dall’art. 2087 del Codice civile (obbligo per il datore di lavoro di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro). Da un lato, infatti, i lavoratori hanno il diritto di rifiutare il vaccino perché “nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario”, dall’altro, l’imprenditore di un’azienda ha l’obbligo “di adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità dei lavoratori”, ricorda il CorSera.
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