Dopo 2 anni di crisi pandemica, a cui si sono aggiunte negli ultimi mesi le difficoltà di reperire le materie prime e il caro energia, continua, in maniera altrettanto preoccupante, la stretta dell’oppressione burocratica sugli imprenditori.
Lo rivela una ricerca della CGIA di Mestre secondo cui a causa dell’eccessivo numero di adempimenti, di permessi e l’espletamento delle pratiche richieste dalla nostra burocrazia, il costo annuo in capo alle imprese italiane ammonta a 57 miliardi di euro. Un sistema inefficiente che “produce” imaggiori costi economici più alle piccole che alle grandi imprese.
A lamentarsi della scarsa qualità dei servizi resi dalla nostra PA non sono solo le imprese, ma anche i cittadini.
Ancor più drammatico è il dato sul confronto territoriale. Se a livello regionale ci confrontiamo con il resto d’Europa anche sulla percezione della qualità, imparzialità e corruzione della nostra PA, il risultato che emerge è molto desolante. Su 208 regioni monitorate a livello europeo dall’Università di Göteborg (anno 2021), la prima realtà territoriale italiana per qualità istituzionale, vale a dire la provincia Autonoma di Trento, si colloca al 100° posto. Seguono il Friuli Venezia Giulia al 104°, il Veneto al 109°, la Provincia Autonoma di Bolzano al 117° e la Toscana al 126° posto. Puglia (190°), Sicilia (191°), Basilicata (196°), Campania (206°) e Calabria (207°) si “piazzano” negli ultimi 20 posti della graduatoria.
Quali soluzioni? Secondo l’Ufficio studi CGIA, il miglioramento dell’efficienza della macchina pubblica deve svilupparsi secondo tre direttrici: innanzitutto attraverso una digitalizzazione estesa del rapporto tra PA e imprese, soprattutto attraverso il dialogo tra le banche dati pubbliche; standardizzazionedei procedimenti e della modulistica; riorganizzazione delle competenze e riduzione del numero di enti pubblici coinvolti nel medesimo procedimento.
In questo modo, in particolare, si creeranno le condizioni per applicare finalmente il principio dell’ “once only”, in base al quale le pubbliche amministrazioni non possono chiedere all’impresa i dati già in loro possesso.
Infine, secondo l’associazione che rappresenta gli artigiani, l’impresa deve poter contare su norme chiare, senza doversi assumere la responsabilità di interpretazioni incerte, rischiando di essere sanzionata a seguito di controlli da parte di soggetti diversi, non coordinati, o che interpretano in maniera differente la medesima normativa.
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