Le Buste paga di 5 milioni di lavoratori dei Servizi Commercio Terziario Turismo continuano ad essere ferme. Nonostante i primi segnali che arrivano dalla trattativa per il rinnovo del Contratto Collettivo del Commercio, dove grazie all’accordo ponte verrà erogato un importo Una tantum e poi un Acconto, i minimi stipendiali di buona parte dei lavoratori di questi settori, continuano ad essere non adeguato alle novità inflazionistiche. Si pensi ad esempio ai lavoratori addetti ai Servizi di Vigilanza. Nel frattempo l’Istat certifica che nel mese di dicembre 2022 l’incremento su base annua dei prezzi al consumo è dell’11,6%.
Il Governo può metterci del suo per stimolare le Parti Sociali a chiudere i rinnovi e aumentare gli stipendi? E’ quello che auspicano imprese e lavoratori. Dal sindacato Fisascat-Cisl, la federazione che riunisce i lavoratori del commercio, turismo, servizi, emerge qualcosa di più.
Si parla di una sorta di “promessa” fatta da esponenti dell’Esecutivo. Un “impegno del Governo ad intervenire sul rinnovo dei Contratti nazionali scaduti”, si legge in una nota. Un impegno che arriverebbe direttamente dalla Viceministra al Lavoro e alle Politiche Sociali Maria Teresa Bellucci (FdI) che raccoglie il plauso del Segretario generale della Fisascat Cisl Davide Guarini.
Intervenire sì, ma come? Dettagli non emergono, tuttavia il sindacalista ricorda che gli strumenti a disposizione dell’Esecutivo possono essere i più disparati. Si parla anche di «tagli contributivi alle imprese da legare agli aumenti contrattuali e sgravi fiscali per le lavoratrici e i lavoratori», senza dimenticare – e da qui l’invito alle Parti Sociali – «a concertare un meccanismo disincentivante che sia in ogni caso utile a recuperare la perdita di potere di acquisto subita dalle lavoratrici e dai lavoratori nei periodi di vacanza contrattuale».
Guarini ha poi rimarcato sulla necessità di «ripensare logiche di adeguamento dei salari che hanno guidato la contrattazione dal 2009 ad oggi». Nel dettaglio, per il sindacalista, «l’indice Ipca – preso a riferimento da un Accordo Governo-Parti Sociali del 2009 per determinare gli aumenti stipendiali, ndr – non può più essere ritenuto in grado di assicurare coerenza tra gli aumenti salariali e il costo della vita, che è la funzione centrale della parte economica di qualsiasi contratto nazionale».
Per Guarini «la revisione del parametro deve inserirsi in una strategia di più ampio respiro tesa a rinegoziare l’intero modello contrattuale e a correggerne le inefficienze», a partire «dai ritardi strutturali dei rinnovi contrattuali e dagli atteggiamenti volutamente dilatori delle controparti datoriali, finalizzati esclusivamente a pagare in ritardo gli incrementi dovuti e per questa via basare la concorrenza sul risparmio del costo del lavoro anziché sugli investimenti in produttività».