60 mila operai rischiano di perdere il posto del lavoro per via dello stop definitivo da parte dell’Unione Europea, a partire dal 2035, alla produzione di veicoli inquinanti alimentati a benzina e diesel.
Decine di migliaia di lavoratori solo a Torino, dove sono concentrate più di 700 aziende del settore dell’automotive, pari al 33,3% di quelle presenti sul territorio italiano e che fatturano circa 17 miliardi di euro. Ecco perché l’impatto di questa svolta sarà più devastante nel capoluogo piemontese che altrove. È il Piemonte, infatti, a detenere il primato nazionale per numero di imprese della componentistica automotive italiana.
Una decisione presa per favorire la sostenibilità ambientale, ma che «socialmente diventa un pericolo. È inutile parlare di scelte sostenibili se poi questa, sotto il profilo sociale, non lo è» puntualizza preoccupato a La Stampa di mercoledì 15 febbraio Giorgio Marsiaj, presidente dell’Unione Industriali e amministratore delegato di Sabelt, azienda che dal 1972 produce sedili e cinture di sicurezza di alta gamma.
I timori per la decisione europea si respirano anche a livello sindacale. Davide Provenzano, al vertice della Fim Cisl torinese, critica la contrapposizione dell’esigenza ambientale a quella industriale: «La decisione dell’Europa è un errore perché sulla base di una scelta ideologica si perderanno migliaia di posti di lavoro.»