HomeEvidenzaAumenti Stipendio 2023: ecco come il Governo li frena

Aumenti Stipendio 2023: ecco come il Governo li frena

Il taglio del cuneo fiscale operato dal Governo rischia di rivelarsi uno specchietto per le allodole e sostituire ben più consistenti aumenti di stipendio da parte delle aziende.

Per il 2023, il Governo di Giorgia Meloni ha applicato uno sgravio contributivo del 3% per i redditi fino a 20 mila euro annui e del 2% per le retribuzioni tra i 20 e i 35 mila euro annui. Ciò ha garantito ai lavoratori un netto in busta paga più alto di circa 20-30 euro mensili per effetto, appunto, delle minori trattenute, replicando in parte quanto già fatto da Draghi.

Tuttavia, alleggerendo il carico fiscale per tutti i contribuenti, anziché favorire i redditi più bassi si rischia di «favorire gli imprenditori, togliendo loro l’onere di aumentare gli stipendi ai dipendenti». A far notare questa trovata è L’Espresso in un articolo di mercoledì 5 aprile.

In pratica, l’esonero contributivo può mettere a repentaglio gli aumenti di stipendio, sostituendoli e diventando una giustificazione che gli imprenditori possono usare per non incrementare le retribuzioni: «esiste la possibilità che un imprenditore dica al dipendente: “Finora ti pagavo tremila euro lordi per darti 1.500 euro netti, ora grazie al taglio del cuneo, avrai sempre 1.500 euro netti ma io pago 2.800 lordi”, magari adducendo la ragione vera o falsa di salvaguardare il posto di lavoro in tempi difficili» fa presente l’economista OCSE Andrea Garnero parlando al quotidiano.

Questo perché al taglio del cuneo fiscale ha fatto seguito l’aumento delle imposte controllate dagli enti locali, come l’addizionale IRPEF, che ha vanificato l’effetto della decisione presa a livello nazionale. Insomma, il taglio dei contributi a carico del lavoratore non avrebbe avuto alcun effetto sui salari netti dei lavoratori, che anzi corrono il rischio di non ricevere ulteriori aumenti perché già “gratificati”, appunto, dai 20-30 euro derivanti dall’esonero contributivo.

Appare quindi «evidente che le scelte di politica economica e l’inflazione hanno favorito le imprese e i loro profitti, a scapito dei salari dei dipendenti, che sono rimasti al palo» conclude Matteo Gaddi, ricercatore del Centro studi Claudio Sabattini della Fiom Cgil. Insomma, una strategia sotto gli occhi di tutti.

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