Silvio Berlusconi e i Sindacati confederali, storia di un amore mai nato. Le tensioni tra il leader di Forza Italia e Cgil, Cisl, Uil cominciarono durante il suo secondo Governo, dal 2001 al 2006, quando da Presidente del Consiglio riformò il mercato del lavoro (introducendo il lavoro intermittente, i voucher e lo staff leasing), minacciando di cancellare l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, baluardo a difesa dei licenziamenti illegittimi.
Rapporti che si inasprirono nel tempo e che divennero tesi soprattutto con Cgil. Perché mentre Cisl e Uil percorrevano la strada del dialogo col Governo, il sindacato di sinistra scelse in più di un’occasione di ricorrere alla piazza per fermare quella che veniva definita come la spinta neo-liberista del berlusconismo. Il 23 marzo 2002 Cgil chiamò a raccolta più di 3 milioni di persone, riunite presso il Circo Massimo di Roma e le vie limitrofe per manifestare contro il terrorismo (il 19 marzo le Nuove Brigate Rosse avevano assassinato Marco Biagi) e difendere i propri diritti, in particolare per la tutela dell’art. 18.
Ma negli anni anche il rapporto con le altre organizzazioni sindacali si incrinò. La fiamma divampò nel 2005, quando a margine di un tavolo sulle Pensioni a Palazzo Chigi l’allora Premier aveva insistito sulla necessità di essere ottimisti se si vuole la crescita economica.
«Perché il Paese va bene – aveva scandito – , l’81% delle famiglie possiede una casa, siamo primi nei telefonini…». «È difficile essere ottimisti – gli aveva replicato Savino Pezzotta, allora Segretario Generale CISL – noi ogni giorno incontriamo gente in cassa integrazione». E Berlusconi: «Guardi la televisione, la sera tardi, che ci sono belle ragazze da vedere… penso che dobbiate cambiare frequentazioni».
Osservazione di dubbio gusto che non passò inosservata. Poco dopo, infatti, durante un’intervista al Corriere della Sera Pezzotta sottolineò perentorio: “mai più patti con Berlusconi, è inaffidabile”.