La povertà non la si combatte col salario minimo legale ma rafforzando la contrattazione collettiva, con contratti che siano in grado di seguire e stare al passo con le trasformazioni del mondo del lavoro.
Parola di Massimo Temussi, l’ex consulente della ministra Marina Calderone e da pochi mesi presidente e amministratore delegato di ANPAL servizi, l’agenzia del Governo per le politiche attive del lavoro.
A detta dell’ad di ANPAL, la prova che il salario minimo di legge non sarebbe efficace viene dall’Inghilterra. Queste le sue parole:
«Il tema del lavoro povero è serissimo, ma non si risolve per decreto con il salario minimo o con l’assistenzialismo come si è fatto con il reddito di cittadinanza […] Al di là del fatto che il livello delle retribuzioni in Italia è sopra la soglia decisa dall’Ue, io sono contrario. Prendiamo il caso dell’Inghilterra: il salario minimo è riuscito nell’obiettivo di togliere un po’ di persone dalla povertà, ma non ha dato buoni risultati sul fronte dell’occupazione. […] Del resto anche i sindacati non sono favorevoli. Il mondo del lavoro sta subendo trasformazioni epocali, dalla tecnologia allo smartworking. Serve una contrattazione vera, complessiva. Magari con decreti ad hoc per i settori più a rischio di dumping salariale».