Gabbie salariali approvate. Cosa farà ora il Governo?

Meloni

Il 6 dicembre la Camera dei deputati ha approvato un ordine del giorno che impegna il Governo ad intervenire sul sistema di gabbie salariali.

Insomma Meloni & C. hanno il formale appoggio di un ramo del Parlamento a divaricare gli stipendi tra nord e sud, tra città dove il costo della vita è più alto e quelle dove il costo della vita è più basso.

L’impegno vale per i lavoratori statali, in particolare quelli della scuola. «Sarebbe auspicabile – si legge nel documento – per alcuni settori, come nel mondo della scuola, un’evoluzione della contrattazione che, da una retribuzione uguale per tutti, passi a garantire un pari potere d’acquisto per tutti, ipotizzando una base economica e giuridica uguale per tutti, cui aggiungere una quota variabile di reddito temporaneo correlato al luogo di attività».

Per i lavoratori del settore privato il tema è solo rinviato alla proposta di legge della Lega, un testo organico sulla valorizzazione del salario accessorio di secondo livello che per la verità ricomprende anche il lavoro dei dipendti pubblici.

Cosa farà ora il Governo?

Ora arriva la fase più complessa per il Governo che dovrà – se lo riterrà opportuno – mettere in atto l’impegno demandato dal voto a maggioranza della Camera. Come? Al momento non è nota la strategia di Palazzo Chigi, che probabilmente si prenderà del tempo per valutare. D’altronde non è certo facile ripristinare un sistema cancellato definitivamente dal 1972 dopo lunghe battaglie sindacali che le consideravano discriminatorie.

Ed è proprio con i sindacati che dovrà fare i conti. Gli accordi sindacali, anche quelli che stabiliscono un salario accessorio, frutto della contrattazione decentrata, vanno negoziati e firmati con le organizzazioni che rappresentano i lavoratori.

Gabbie salariali, possono funzionare con l’opposizione dei sindacati?

Indubbiamente la contrarietà dei sindacati a differenziare gli stipendi dei dipendenti pubblici peserà su ogni decisione del Governo. I rappresentanti dei lavoratori sono contrari, al di là delle questioni di principio (come la discriminazione che si creerebbe tra lavoratori trattati diversamente a parità di mansioni), anche perchè pensano che sia “un’arma di distrazione di massa”

“Invece di aumentare gli stipendi – scrive Flc-Cgil in una nota – , trovando le giuste risorse per il rinnovo del contratto Istruzione e Ricerca 2022-24, il Governo pensa evidentemente a come abbassarli”. In effetti il notevole ritardo nel rinnovo di tutti i contratti del pubblico impiego, fermi al triennio 2019-2021 con ancora aperte alcune code negoziali, avrà un evidente effetto su tutta l’azione politica del Governo sul tema.

Senza aver adeguato gli stipendi dei dipendenti pubblici fermi al 2021, il Governo non potrà presentarsi con nessun elemento di credibilità davanti ai sindacati e chiedere di differenziare gli stipendi in base all’altitudine, oppure tra chi lavora in città e chi in provincia.

I rimedi al più alto della vita sono altri, fa sapere la Cisl Scuola in un’intervista al Segretario generale Ivana Barbacci. “Se si intende correre ai ripari rispetto a questo tema in maniera seria ogni soluzione non può trovare spazio di legittimità differenziando i salari in senso assoluto a seconda della regione di servizio, ma deve necessariamente tener conto di interventi che a livello locale si possono introdurre in termini di sgravi fiscali, di contenimento dei costi degli affitti e di tutto ciò concerne il calmierare le spese ordinarie che il personale è costretto sostenere trasferendosi da un’area all’altra del paese per lavoro“. 

Non si tratta quindi di intervenire sugli stipendi, differenziandoli, – dichiara ad Ansa – ma pensare piuttosto un sistema di contrattazione di secondo livello, che possa attingere a risorse locali per riconoscere benefit e welfare a tutto il personale che lavora fuori dalla propria sede, sia del nord che del sud“.