Uffici postali chiusi e meno personale, è quello che rischia di succedere se la privatizzazione di Poste Italiane si realizzasse.
Attualmente Poste è per il 65% in mano allo Stato, mentre il restante 35% è gestito indirettamente attraverso Cassa depositi e prestiti. Ma se l’intenzione fosse quello di fare cassa, molto probabilmente si potrebbe procedere con la cessione della quota che ad oggi è in mano al MEF (29,25%), già autorizzata da un decreto dello scorso gennaio.
Ipotesi che i sindacati si augurano fortemente che non si concretizzi.
Privatizzazione Poste, le conseguenze
I sindacati parlano di un’operazione di “svendita” che sicuramente non gioverebbe ai cittadini. Né a quelli che vivono nei piccoli Comuni, ove l’ufficio postale rappresenta un presidio indispensabile ma che con la cessione ai privati rischierebbe di chiudere, né tantomeno a quelli che alle Poste ci lavorano.
A detta dei sindacati, nel breve termine l’operazione consentirà allo Stato di fare cassa, ma a lungo termine causerà più danni che benefici.
Uno dei problemi maggiori riguarda l’impatto occupazionale. Per consentire agli investitori di rientrare nelle spese, il costo del lavoro sarà la prima voce a essere tagliata: «È inaccettabile mettere in discussione migliaia di posti di lavoro, rischiando di compromettere la qualità dei servizi offerti a milioni di cittadini», tuona Raffaele Roscigno, segretario generale della Slp Cisl.
Le preoccupazioni hanno ragion d’essere, soprattutto alla luce di quanto illustrato nel piano strategico quinquennale presentato dall’amministratore delegato Matteo Del Fante. In futuro, l’organico di Poste Italiane dovrebbe essere ridotto di circa 6 mila unità, passando da 119 mila a 113 mila dipendenti. «Un’assurdità», la definisce Roscigno.
I sindacati avvertono
I sindacati di base non hanno intenzione di stare a guardare e sono già sul piede di guerra. L’auspicio è che presto arrivi una convocazione da parte del MIMIT. Altrimenti comincerà una forte stagione di mobilitazione che vedrà unite tutte le associazioni di categoria.
Nel frattempo, ieri 21 marzo è stato proclamato il primo sciopero, per protestare appunto contro una privatizzazione che taglia l’occupazione e chiude uffici e servizi ai ceti popolari.
Ad aprile partiranno poi con delle manifestazioni in tutte le piazze di Italia. «Se non ci sarà dialogo sarà battaglia, senza sconti» ha avvisato il segretario generale della Slp Cisl. A Palazzo Chigi sono avvertiti.