E’ Vietato il Riconoscimento facciale per controllare le presenze: il caso dei Meccanici

Il datore di lavoro non può utilizzare il sistema del riconoscimento facciale per controllare la presenza dei dipendenti nei luoghi di lavoro. Lo ha chiarito il Garante per la Protezione dei Dati personali in un documento del 6 giugno 2024.

Manca una legge che autorizza al Riconoscimento facciale

Questi sistemi non sono legittimi poiché attualmente non c’è alcuna norma di legge che prevede l’impiego del dato biometrico per la rilevazione delle presenze.

Ciò è stato ribadito – si legge – dal Garante con numerosi provvedimenti, gli ultimi dei quali adottati in data 22/02/2024 con i quali l’Autorità ha dichiarato l’illiceità dei trattamenti effettuati (provvedimenti n. 105, 106, 107 e 109, doc. web n. 9995785, 9995701, 9995680, 9995741)“.

Nello specifico una Concessionaria di Auto utilizzava l’hardware X-Face 380, che prevedeva il quotidiano riconoscimento facciale con lo scopo unico di attivare “l’elaborazione delle presenze per la redazione delle buste paga di tutti i dipendenti, trasmettendo un report mensile al consulente del lavoro”.

Strumenti “esterni” non possono controllare

Gli strumenti che violano la privacy dei dipendenti non sono consentiti neppure se imposti “esternamente”, da strumentazione digitale affidata ai dipendenti da parte dell’azienda.

In proposito il Garante si è soffermato sull’uso del software gestionale Infinity DMS, utilizzato dalla Concessionaria di automobili perché imposto dalla casa madre. Il programma oltre ad inviare mensilmente un report contenente dati aggregati sui tempi impiegati dalle officine per le lavorazioni effettuate, imponeva la registrazione delle “varie fasi dell’attività lavorativa comprese le pause, con l’indicazione della specifica causale (es. riposo, attesa ricambi, ecc.)”. Insomma su ogni veicolo assegnato al dipendente meccanico venivano controllati tempi e modalità di esecuzione dei lavori, e conseguentemente i tempi di inattività, senza che gli stessi ne fossero a conoscenza.

Il consenso del dipendente

L’Autorità ha inoltre sottolineato che in queste circostanze non è sufficiente raccogliere il consenso del dipendente per garantirsi la legittimità della condotta. Questo “per l’asimmetria tra le rispettive parti del rapporto di lavoro”, considerato che il lavoratore è pur sempre il soggetto più debole del rapporto.