Se un’apprendista si dimette prima della scadenza del contratto deve restituire al datore di lavoro le spese di formazione fino ad allora sostenute. E’ quindi legittima la clausola del contratto individuale di lavoro che prevede una simile clausola “risarcitoria”.
Lo prevede una sentenza del Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, la n. 1646 del 9 febbraio 2024.
E’ andata così. L’apprendista è stato assunto per 3 anni. Il contratto di formazione e lavoro prevedeva che in caso di dimissioni senza giusta causa o giustificato motivo al lavoratore sarebbero state trattenute tra le competenze di fine rapporto un somma pari alla retribuzione corrisposta per ogni giornata di formazione erogata, fino alla cessazione del rapporto.
Dopo aver ricevuto 125 giorni di formazione l’apprendista si è dimesso, rispettando i termini di preavviso ma – a quanto pare – senza fornire né una giusta causa né il giustificato motivo. Da qui la decisione del datore di trattenere le somme e del lavoratore di opporsi, in giudizio, alla pretesa del datore.
In sede di giudizio l’apprendista ha lamentato la modalità di contrattazione della “clausola risarcitoria”, perché ritenuta – dal suo punto di vista – vessatoria e priva di trasparenza.
Il giudice però ha dato ragione al datore di lavoro perchè ha ritenuto che la clausola risultava essere chiara nei sui effetti, respingendo quindi la presunta “vessatorietà” e l’eccessiva onerosità del risarcimento. Peraltro veniva rilevato che essa era connessa al patto di stabilità: periodo di minimo di durata del rapporto a cui il lavoratore era tenuto.
Nella sentenza si legge che “in materia contrattuale, le caparre, le clausole penali ed altre simili, con le quali le parti abbiano determinato in via convenzionale anticipata la misura del ristoro economico dovuto all’altra in caso di recesso o inadempimento, non avendo natura vessatoria, non rientrano tra quelle di cui all’art. 1341 c.c. e non necessitano, pertanto, di specifica approvazione” (Cassazione n. 18550/2021).
La giurisprudenza di legittimità e di merito, ha costantemente ritenuto che “l’accordo deve ritenersi legittimo quando da parte dell’imprenditore sia stato sostenuto un reale costo finalizzato alla formazione del lavoratore per poter beneficiare per un periodo di tempo minimo ritenuto congruo, del bagaglio di conoscenze acquisito dal lavoratore”.