Più si allunga la speranza di vita e più sarà il tempo in cui INPS dovrà erogare la pensione. Per tale motivo, chi andrà in pensione dal 1° gennaio 2025 riscuoterà un assegno inferiore rispetto a chi ci è andato entro il 31 dicembre 2024.
Vediamo nel dettaglio.
Pensione più bassa se la speranza di vita si allunga
Ogni due anni i coefficienti di trasformazione per il calcolo della pensione vengono rivisti per tenere conto delle variazioni delle aspettative di vita. A gennaio 2025 entrano in vigore quelli nuovi, che a parità di condizioni penalizzano coloro che lasceranno definitivamente il lavoro tra il 2025 e il 2026, rispetto a chi invece lo ha lasciato nel 2024.
Il decreto del Ministero del Lavoro n. 436 del 2024 ha infatti adeguato i coefficienti che si applicano al montante contributivo alla speranza di vita, che si è allungata. Ciò significa che la pensione verrà pagata per più tempo e, di conseguenza, l’importo mensile dell’assegno dovrà scendere.
A quanto ammonta il taglio lo ha calcolato il responsabile politiche previdenziali della Cgil, Enzo Cigna.
I tagli in base all’età
La decurtazione oscilla tra l’1,55 e il 2,18% secondo l’età in cui si va in pensione. A ogni età, da 57 a 71 anni, viene infatti applicato un suo coefficiente.
Riprendiamo l’esempio riportato dalla CGIL. Un lavoratore con una retribuzione alla cessazione di 30 mila euro annui che va in pensione di vecchiaia nel 2025 a 67 anni, ha un assegno pensionistico del 2% inferiore a quello di chi è andato in pensione nel 2024. Quindi, se nel 2024 avrebbe preso 1.250 euro al mese, nel 2025 ne prenderà 1.225. Questo perché il coefficiente di trasformazione nel frattempo è passato dal 5,723% (del 2023/2024) al 5,608%. La perdita è pari a 25 euro al mese, quindi 326,57 euro l’anno.
L’impatto è ancora più gravoso per chi esce dopo i 67 anni. Chi nel 2024 è andato in pensione a 70 anni gode di una pensione di quasi 1.397 euro al mese. Il settantenne che invece va in pensione nel 2025 prenderà un assegno di 1.367 euro. La perdita è di 30 euro al mese e di 389 euro annui (-2,15%).
Considerando che la durata media della vita in Italia è di 82 anni e mezzo, la perdita cumulata supera 5 mila euro.
«Questa revisione – sottolinea Cigna – colpisce tutti i lavoratori che andranno in pensione dal 2025 in avanti e questo meccanismo perverso rischierà di impoverire sempre di più i giovani, che hanno tutta la posizione contributiva dopo il 1995. La Cgil denuncia da tempo l’iniquità di un sistema previdenziale che in caso di allungamento dell’aspettativa di vista, le ricadute sono doppie: si allunga il traguardo pensionistico e si abbassano i coefficienti di trasformazione».