La bocciatura dell’accordo di rinnovo del CCNL Funzioni Centrali è arrivata nei primi giorni di gennaio, al termine delle operazioni della consultazione referendaria tra i lavoratori statali.
A votare contro l’accordo separato che prevede un aumento medio di 165 euro lordi sui minimi tabellari è stato il 98% dei dipendenti pubblici che ha voluto esprimere un parere. Secondo quanto si apprende dai sindacati che hanno avviato l’iniziativa, Fp-Cgil, Uilpa, USB PI, si è trattato di un “plebiscito” a favore di chi ha sempre sostenuto l’inadeguatezza delle risorse stanziate per gli stipendi degli Statali.
Dai Ministeriali ai Dipendenti delle Agenzie: ecco chi ha votato “no”
Secondo quanto riporta la nota congiunta dei tre sindacati il “no” secco all’accordo di rinnovo è arrivato soprattutto da alcuni ministeri e dalle Agenzie governative, come l’Agenzia delle Entrate, delle Dogane e persino dai dipendenti Inps dislocati in tutta Italia.
Questi i dati parziali della partecipazione comunicati dal sindacato:
- Agenzia delle Entrate: 6.500,
- Ministero della Giustizia: 5.400,
- Inps: 5.200,
- Ministero della Cultura: 3.000,
- Ministero dell’Interno: 2.400,
- Agenzia delle Dogane: 2.300.
Considerato che il 98% dell’intera platea votante si è espressa per il “no” significa che la richiesta di rimettere in discussione gli aumenti stipendiali concordati da Cisl Fp e alcuni sindacati autonomi arriva – in particolare – da queste Amministrazioni.
“Dalle lavoratrici e lavoratori – si legge nella nota sindacale – è arrivato un messaggio chiaro: la questione salariale rimane centrale, con gli attuali stipendi la maggioranza dei dipendenti pubblici non arriva a fine mese”.
Forti dell’esito referendario, che ha certamente un valore politico, i sindacati non firmatari chiedono l’apertura di “una nuova fase” per migliorare il CCNL 2022-2024. La prima cosa che chiedono, l’invito è chiaramente rivolto all’Esecutivo, è di “trovare risorse aggiuntive per incrementare il misero 5,78% imposto dal governo”.
Anche se da Palazzo Chigi ricordano che l’intesa è già stata recepita durante un Consiglio dei Ministri pre-natalizio.
ARAN: l’accordo non cambia
Ma il primo “no” alle modifiche giunge dall’Agenzia che rappresenta le Amministrazioni statali nei negoziati con i sindacati, l’ARAN.
Intervistato dal quotidiano Repubblica, il suo presidente Antonio Naddeo ha dichiarato: “l’intesa non cambia” poichè “tecnicamente quella indetta da Cgil, Uil e Usb è una consultazione, non è un referendum”. Peraltro il sistema non prevede l’indizione di referendum in quanto rappresentatività delle organizzazioni, tutte, e quelle firmatarie di questo CCNL, è misurata. Inoltre, sottolinea il Presidente ARAN, i sindacati firmatari non hanno partecipato alla consultazione per cui “sarebbe stato difficile aspettarsi [un esito diverso]”.
“L’Aran – ricorda Naddeo – segue pedissequamente quello che dispone la legge e le indicazioni del ministro Zangrillo. Quindi passato l’esame della Corte dei Conti, tra una quindicina di giorni il contratto verrà definitivamente sottoscritto e applicato”. Tempistica confermata anche dallo stesso Ministro della PA che vede l’arrivo degli arretrati stipendiali già dal prossimo febbraio.