Nel settore del lavoro domestico, la presenza di un legame di parentela tra datore di lavoro e lavoratore può far presumere che il lavoro sia svolto per motivi affettivi e quindi senza retribuzione. Tuttavia, questa non è una regola assoluta. Esistono casi in cui il rapporto di lavoro può essere considerato valido e soggetto a retribuzione e contribuzione previdenziale.
Parliamo di lavori domestici come ad esempio: colf, badanti, baby sitter, autisti, cuochi, giardinieri, ecc.
Quando il rapporto di lavoro tra parenti è valido?
L’INPS stabilisce che le denunce di lavoro tra parenti e affini non possono essere respinte in automatico, ma devono essere valutate considerando:
- la situazione di fatto (esistenza di un vero rapporto di lavoro);
- il grado di parentela tra le parti;
- la convivenza tra datore di lavoro e lavoratore.
Se il rapporto di lavoro rispetta i requisiti di subordinazione, cioè la colf o la badante è alle “dipendenze” di una famiglia e segue gli ordini indicati, la lavoratrice ha diritto alla regolare retribuzione e alla copertura assicurativa.
Ma bisogna fare attenzione: spetta ai lavoratori domestici legati da vincolo di parentela con il datore di lavoro provare/dimostrare l’esistenza di un rapporto di lavoro. Ma su questo torneremo dopo.
Quando il rapporto di lavoro tra parenti è valido?
Dall’orientamento giurisprudenziale si ricavano i casi in cui le prestazioni di lavoro domestico sono presunte a titolo gratuito che:
• non è configurabile un rapporto di lavoro domestico tra coniugi o persone conviventi “more uxorio”, ad eccezione dei casi di assistenza a invalidi;
• le prestazioni domestiche in favore di parenti o affini di 1° grado, indipendentemente dalla convivenza, sono da considerare prestate per motivi affettivi e quindi prive di tutela previdenziale. Tuttavia, anche in questo caso il rapporto potrebbe essere validamente instaurato: ad esempio, potrebbe essere assicurabile una lavoratrice domestica che, a seguito della nascita di un nipote, cessi dal lavoro presso estranei per accudire il nipote stesso, percependo la retribuzione da parte del figlio;
• le prestazioni in favore di parenti od affini di 2° e 3° grado conviventi, generalmente, si ritengono prestate a titolo gratuito;
• in caso di prestazioni di lavoro domestico in favore di congiunti di 2° e 3° grado non conviventi vi è attenuazione della presunzione di gratuità, per cui, in presenza dei requisiti della subordinazione, il rapporto potrebbe essere assicurabile;
• il rapporto di lavoro tra coniugi, parenti od affini è senz’altro convalidato se si tratta di assistenza ad invalidi o ciechi di guerra, del lavoro o civili, titolari di assegno di accompagnamento.
Quando è sempre ammesso il rapporto di lavoro domestico tra parenti?
Ai sensi dell’articolo 1 del D.P.R. n. 1403 del 31 dicembre 1971, il rapporto di lavoro domestico tra soggetti con vincoli di parentela è considerato sempre ammissibile (quindi assicurabile) quando i lavoratori sono addetti alle seguenti mansioni:
• assistenza a invalidi di guerra civili e militari, invalidi per causa di servizio, invalidi del lavoro, che fruiscono dell’indennità di accompagnamento;
• assistenza a mutilati e invalidi civili che fruiscono delle provvidenze di cui alla Legge n. 118 del 30 marzo 1971, e che siano esclusi da dette provvidenze per motivi economici, non attinenti al grado di menomazione;
• assistenza a ciechi civili che fruiscono del particolare trattamento di pensione di cui alla Legge n. 66 del 10 febbraio 1962, o esclusi perché in possesso di un reddito superiore ai limiti previsti;
• perpetue al servizio di sacerdoti secolari di culto cattolico;
• prestazioni di servizi diretti e personali nei confronti dei componenti le comunità religiose o militari di tipo familiare.
Anche in questi casi, se è possibile dimostrare la subordinazione (ad esempio, con buste paga e versamenti contributivi), il rapporto di lavoro può essere riconosciuto.
Chi deve dimostrare l’esistenza del rapporto di lavoro?
Se il lavoratore domestico ha un vincolo di parentela con il datore di lavoro, spetta a lui dimostrare la subordinazione, in un’eventuale contezioso giudiziario o con Inps. Questo può avvenire tramite:
- contratti di lavoro regolari;
- buste paga e versamenti contributivi;
- testimonianze o documenti che attestano la dipendenza economica dal datore di lavoro.
L’INPS, in caso di dubbi, può effettuare accertamenti per verificare la reale esistenza del rapporto di lavoro.
In sintesi il lavoro domestico tra parenti è spesso considerato gratuito, ma ci sono eccezioni importanti. Se il lavoratore è regolarmente assunto e dimostra la subordinazione, ha diritto a retribuzione e contributi. E’ consigliabile rispettare le regole per evitare problemi con l’INPS.