Ferie e permessi retribuiti, congedo parentale, programmi di supporto al benessere mentale: sono queste le maggiori priorità di dipendenti e professionisti, sempre più attenti alla qualità della vita oltre che alla busta paga.
Il valore dell’equilibrio tra lavoro e vita privata
Secondo un recente studio di Jobseeker, per i lavoratori di oggi non conta soltanto la retribuzione: ciò che fa la differenza è un contesto professionale in grado di garantire un buon equilibrio tra lavoro e vita privata, nonché complessivamente favorevole al benessere psico-fisico delle persone. Di conseguenza, tra i benefit più richiesti troviamo quelli più funzionali a raggiungere questi obiettivi.
- Ferie e permessi retribuiti: un numero adeguato di giorni di vacanza e permessi che non gravano come spesa aggiunta, o perdita di produttività, sono essenziali per assicurare il recupero psico-fisico e migliorare la produttività.
- Congedo parentale: benché in Italia sia un diritto garantito, è bene sottolinearne il valore e ricordare che spetta non solo alle mamme ma anche ai papà. Altro dato che non tutti sanno: l’indennità per congedo parentale è concessa anche a lavoratori e lavoratrici autonomi, quindi a free-lance e libero-professionisti con partita Iva.
- Flessibilità lavorativa: la pandemia ha dimostrato che in molti contesti è possibile gestire il lavoro a distanza, completamente da remoto o in modalità ibrida. Questa possibilità è diventata un requisito chiave per un numero crescente di professionisti.
- Programmi dedicati al benessere mentale: l’attenzione ai temi legati alla salute mentale e al benessere psico-fisico sul posto di lavoro è sensibilmente aumentata negli ultimi anni, così come l’esplicita richiesta di iniziative di supporto (sportelli di ascolto, attività per imparare a gestire e ridurre lo stress, ecc.).
Il ruolo cruciale della salute psico-fisica
Stress da lavoro, deficit di attenzione, disturbi d’ansia, irritabilità: i sintomi che portano al burnout sono numerosi e ben riconoscibili. Sono anche molto diffusi, e proprio per questo i professionisti che ritengono essenziale introdurre misure a supporto della salute mentale sul posto di lavoro sono la stragrande maggioranza: il 77% degli intervistati, secondo le stime di Jobseeker.
Va sottolineato che tale opinione è condivisa da sia dipendenti che da free-lance, sia da uomini che donne (seppure con diversa percentuale), a confermare come si tratti di un’esigenza trasversale, anche in termini di età e di settore.
La buona notizia è che gli strumenti per prevenire questo tipo di malessere, o quanto meno di intervenire per tempo, prima che superi la soglia critica, esistono e laddove opportunamente integrati offrono risultati tangibili. Non a caso le aziende più lungimiranti rispondono con iniziative concrete.
Il supporto al benessere è un investimento
Incentivare attivamente la partecipazione a sessioni di mindfulness, consentire l’accesso a uno sportello d’ascolto, introdurre il bonus psicologo o la possibilità di partecipare a pratiche di meditazione e rilassamento sono esempi di iniziative molto utili allo scopo, non troppo dispendiose né logisticamente complesse da mettere a sistema.
L’entità e la quantità degli interventi varia, naturalmente, da paese a paese e da contesto a contesto: le differenze di visione e di policy possono essere molto diverse anche all’interno della stessa nazione. Tuttavia, se queste sono le top priorities della popolazione lavorativamente attiva, supportare il benessere mentale si configura come vero e proprio investimento.
Offrire benefit che migliorano le condizioni lavorative significa aumentare la soddisfazione del singolo dipendente e la produttività complessiva, ridurre il rischio di burnout e il tasso di turnover. Vale per altro la pena ricordare che la competizione per i talenti migliori non è più limitata alle geografie nazionali: si svolge su campo globale, e i professionisti, oggi, non esitano a spostarsi.
In altre parole, le imprese che vogliono rimanere competitive dovranno investire su piani di welfare e interventi di supporto al benessere mentale per instaurare collaborazioni a lungo termine. Il rischio, diversamente, è quello di continuare ad alimentare fenomeni come il ‘quite quitting’ e la ‘great resignation’, ovvero il progressivo disimpegno o l’uscita volontaria dal mondo del lavoro da parte di dipendenti insoddisfatti.
Come fare, dal punto di vista pratico?
Nel contesto italiano, le aziende possono adottare diverse strategie per migliorare il benessere dei propri dipendenti e collaboratori.
Un primo passo è investire in benefit personalizzati, che possono includere buoni per attività mirate, polizze o convenzioni, auspicando che la contrattazione collettiva possa agevolare l’estensione di queste iniziative anche alle aziende di piccole e medie dimensioni.
Un altro elemento importante è l’adozione di programmi di prevenzione di stress e burnout, che dovrebbero diventare prassi consolidata anche attraverso partnership con enti specializzati. Tutto questo incentivando, a monte, la promozione di una cultura aziendale attenta alla salute psico-fisica di ogni individuo.
Il lavoro da fare non è poco, ma l’Italia ha il grande vantaggio di possedere già strumenti normativi che favoriscono queste misure. Il vero salto di qualità si farà quando le agevolazioni in essere e quelle da attivare funzioneranno in modo integrato, all’interno di un sistema che metta al centro il benessere come valore strategico: il cambiamento passa da un approccio lungimirante, capace di riconoscere che una persona serena è anche un professionista più motivato e performante.