HomeEvidenzaLicenziamenti piú facili? Cosa rischiano i Lavoratori con i Referendum 8-9 Giugno

Licenziamenti piú facili? Cosa rischiano i Lavoratori con i Referendum 8-9 Giugno

Il Consiglio dei Ministri ha approvato i decreti per 5 referendum abrogativi che si voteranno l’8 e 9 giugno 2025, in contemporanea con il ballottaggio delle elezioni amministrative. La decisione arriva su proposta del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e della premier Giorgia Meloni.

Vediamo quali sono i quesiti refendari e da chi sono promossi.

I 5 quesiti referendari: cosa si chiede

  1. CITTADINANZA (promosso da +Europa e altre realtà)
  • Ridurre da 10 a 5 anni il tempo di residenza necessario per richiedere la cittadinanza italiana

2. JOBS ACT – LICENZIAMENTI (promosso da CGIL)

  • Abrogare le norme sui licenziamenti del contratto a tutele crescenti

3. JOBS ACT – PICCOLE IMPRESE (promosso da CGIL)

  • Eliminare il tetto alle indennità per licenziamenti illegittimi nelle aziende sotto i 15 dipendenti

4. LAVORO – CONTRATTI A TERMINE (promosso da CGIL)

  • Rimuovere alcune restrizioni sull’uso dei contratti temporanei

5. LAVORO – APPALTI E INFORTUNI (promosso da CGIL)

  • Abrogare la responsabilità solidale di committenti e appaltanti in caso di infortuni

Se i referendum non passano: i rischi per i lavoratori

Per la validità della consultazione referendaria popolare è necessario che si raggiunga un determinato quorum, previsto dalla Costituzione. Cioè che si rechino alle urne metà degli aventi diritto al voto più uno (50%+1).

1. Tutele più deboli sui licenziamenti

Con il Jobs Act attuale, chi viene licenziato senza giusta causa o giustificato motivo può ottenere fino a 24 mensilità di risarcimento. Queste regole valgono per chi è assunto con un nuovo contratto dal 2015 in avanti, salvo accordi individuali di conservazione del ‘vecchio’ articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Se il referendum fallisce, queste regole resteranno in vigore, lasciando i lavoratori più esposti ai licenziamenti. Se vince, si torna al ‘vecchio’ articolo 18 con il diritto alla reintegrazione e quantificazione del risarcimento fatto dal giudice nei limiti legislativi.

2. Piccole imprese: risarcimenti bloccati

Nelle aziende sotto i 15 dipendenti, oggi il risarcimento massimo è di 6 mensilità. Senza l’abrogazione, i dipendenti di queste realtà non potranno chiedere risarcimenti più alti, anche per licenziamenti ingiustificati.

3. Contratti a termine: precarietà garantita

Il quesito referendario riguarda l’abrogazione di alcune previsioni (articoli 19, commi 1, 1-bis e 4, e 21, comma 01, del decreto legislativo numero 81 del 2015) che attualmente consentono la stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato (e anche la loro proroga e/o il rinnovo) fino a un anno senza dover fornire alcuna giustificazione, e, per quelli di durata superiore, sulla base di una giustificazione individuata dalle parti, anche se non prevista né dalla legge, né dai contratti collettivi stipulati dai sindacati più rappresentativi a livello nazionale. Se cambiano le regole i lavoratori avranno diritto a conoscere, già dal contratto di lavoro, la ragione specifica della durata del contratto a termine. Diversamente la aziende non saranno tenute ad indicare la causale, fino a 12 mesi di contratto.

4. Infortuni: meno tutele per i lavoratori

Oggi, in caso di infortunio in un’appalto, anche l’azienda committente è responsabile. Se la norma resta, sarà più difficile ottenere risarcimenti dall’appaltante (committente) quando accadono incidenti in subappalto.

Prossimi passi: la decisione di Mattarella

Ora i decreti passano al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che dovrà confermare la data del voto. Ma si tratta di un passaggio solo formale. Intanto, la battaglia politica è già iniziata: da un lato il governo e le imprese, dall’altro sindacati e partiti di opposizione che denunciano un attacco ai diritti dei lavoratori”.

Foto Credit: DepositPhotos.com

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