Le email personali dei dipendenti non possono essere usate dal datore di lavoro in tribunale, nemmeno se raccolte su computer aziendali. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con una recente sentenza, confermando l’importanza della tutela della vita privata anche sul posto di lavoro.
Vediamo nel dettaglio cosa è successo, quali sono le regole per il controllo dei dispositivi aziendali e perché certe prove non sono valide in giudizio.
Il caso: il datore accede alle email private dei dipendenti
Il caso nasce da una causa promossa da un datore di lavoro che accusava alcuni ex dipendenti di concorrenza sleale e violazione dei doveri di fedeltà.
Per sostenere la propria tesi, l’azienda aveva prodotto una consulenza tecnica informatica contenente email private, estratte dagli account di posta elettronica utilizzati dai lavoratori su computer e server aziendali.
Secondo l’azienda, trattandosi di dispositivi aziendali e sistemi informatici di sua proprietà, avrebbe avuto il diritto di accedere a quei contenuti. Tuttavia, le comunicazioni analizzate erano chiaramente di natura personale e inviate tramite account privati.
Cosa ha detto la Cassazione
Con la sentenza n. 24204/2025, la Corte di Cassazione ha stabilito che le email personali rientrano nella sfera della vita privata e della corrispondenza tutelata. Anche se sono state inviate o ricevute da un computer dell’azienda.
La Suprema Corte ha spiegato che le comunicazioni estratte dagli account email privati dei dipendenti, se non precedute da corrette informative e senza il consenso degli interessati, non possono essere usate in tribunale. In particolare, il datore di lavoro non può giustificare l’accesso solo perché il dispositivo è aziendale o perché le email sono state salvate sul server della società.
Perché le email private sono prove sono inutilizzabili
Secondo la Cassazione, le email provenienti da caselle personali conservano il carattere di “corrispondenza privata” anche se viaggiano attraverso strumenti di lavoro. Quindi, sono protette dal diritto alla riservatezza sancito sia dalla legge italiana sia dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Il datore di lavoro, per accedere lecitamente a queste informazioni, avrebbe dovuto rispettare le regole sulla trasparenza, informando i dipendenti con anticipo e adottando controlli proporzionati e non invasivi. In questo caso, la procedura prevista dall’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori non è stata seguita, né è stato acquisito il consenso individuale.
Cosa cambia per le aziende e i lavoratori
Questa sentenza conferma un principio importante: il diritto alla privacy del lavoratore prevale anche quando si usano strumenti aziendali. Le aziende possono monitorare i dispositivi, ma devono rispettare precise regole, tra cui la trasparenza, la proporzionalità del controllo e l’informazione preventiva ai lavoratori.
È bene che i dipendenti facciano attenzione a non usare mezzi aziendali per scopi personali, soprattutto se si tratta di attività scorrette o contrarie ai doveri professionali. Tuttavia, anche in caso di comportamenti scorretti, le prove raccolte senza rispettare le norme non sono valide.



