Dove i metalmeccanici italiani non vogliono andare per quattro soldi di trasferta e perfino i serbi si rifiutano di lavorare, arrivano i marocchini. È quanto sta accadendo nello stabilimento di Kragujevac, in Serbia, dove Stellantis ha avviato la produzione della nuova Grande Panda elettrica e ibrida.
Il gruppo offre 600 euro al mese per un lavoro a turni su catena di montaggio, ma la paga è così bassa che i lavoratori locali non la ritengono accettabile e svuotano le linee. Così la dirigenza del gruppo ha pensato di chiamare i “riservisti”
Operai italiani non ci stanno
Per avviare la fabbrica, Stellantis aveva inizialmente puntato su trasferte temporanee dall’Italia, coinvolgendo operai da Mirafiori, Cassino e Termoli. Ma la risposta è stata minima.
Le adesioni sono sempre meno: molti lavoratori, già segnati da anni di cassa integrazione e incertezze occupazionali, hanno rifiutato la proposta. Le condizioni economiche — una modesta indennità di trasferta (70 euro al giorno) più pochi benefit per la permanenza nel Paese dell’Est — non potevano certo convincere chi già oggi lotta per arrivare a fine mese con la retribuzione decurtata dagli ammortizzatori sociali.
Alla fine, solo un centinaio di lavoratori italiani si è spostato temporaneamente, per supportare l’avvio delle linee produttive e formare il nuovo personale. Ma è evidente che nessuno intende restare: le condizioni offerte non sono dignitose nemmeno per chi vive la crisi industriale del sistema Stellantis in Italia.
Salari bassi, manodopera importata
Fallito il reclutamento locale e scarso l’interesse tra gli italiani, la direzione del gruppo ha scelto di rivolgersi al Marocco, dove ha trovato lavoratori disposti ad accettare paghe anche inferiori ai 600 euro mensili (si parla adi 300 euro al mese) e turni prolungati, compreso quello notturno che partirà a ottobre. In totale, secondo fonti industriali, sono già arrivati circa 300 operai marocchini, con l’obiettivo di garantire la piena capacità produttiva del sito. E altri 100 sono in arrivo secondo quanto riporta il quotidiano Milano Finanza.
Una strategia che conferma il nuovo modello del gruppo: spostare la produzione dove il lavoro costa meno e i diritti pesano poco. Un approccio che, inevitabilmente, riguarda da vicino anche i metalmeccanici italiani, sempre più compressi tra cassa integrazione, incentivi all’esodo e rischio di delocalizzazioni.
Il messaggio che arriva anche dalla Serbia è chiaro: se la manodopera industriale non viene pagato adeguatamente, il lavoro scompare.



