Il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, durante una visita all’Istituto Comprensivo 3 di Caivano (Napoli), ha commentato la recente firma sull’ipotesi di contratto Istruzione e Ricerca 2022-2024, sottolineando quelli che considera grandi progressi sul fronte contrattuale. “Il contratto è stato firmato da tutti i sindacati di base, tranne la Cgil. Ma il dato più significativo è che siamo vicini a concludere ben tre contratti in una sola legislatura, un risultato mai raggiunto nella storia della scuola italiana”, ha dichiarato il ministro.
Il Ministro però non si sofferma sugli aumenti del triennio 2022-2024, in quanto irrisori (con l’accordo non si arriva neppure a 50 euro di aumento per docenti e Ata: visualizza qui le tabelle). Artificiosamente decide si commentare gli aumenti medi futuri previsti per il personale scolastico in arrivo entro il 2030, che ammonterebbero a 416 euro al mese. Una cifra che ha definito “senz’altro interessante” per l’impatto economico complessivo che comporterà. Un’affermazione che ha lasciato molti osservatori sconcertati.
416 euro lordi in 9 anni: un “risultato” che non copre neppure l’inflazione del triennio 2022-2024
Parlare di un aumento “interessante” appare quantomeno stonato rispetto alla realtà economica che il Paese ha vissuto negli ultimi tre anni. Tra il 2022 e il 2024, l’inflazione cumulata ha sfiorato il 17%, bruciando il potere d’acquisto di stipendi già bassi. Quei 416 euro lordi promessi entro il 2030 — poco più di 200 euro netti — dovrebbero coprire tre anni e non nove. Invece andrà esattamente all’opposto: docenti e Ata dovranno attendere bene nove anni per veder salire il loro minimo stipendiale di 416 euro.
In sostanza, la scuola italiana recupererà lentamente un potere d’acquisto che avrebbe dovuto essere ripristinato subito, e non diluito in tre contratti successivi (2022-2024, 2025-2027, 2028-2030).
Governo e sindacati, un asse fuori dalla realtà
Le parole di Valditara e le dichiarazioni agghiaccianti di alcuni sindacati mostrano un quadro preoccupante: un governo scollegato dalla realtà sociale e parti sociali sempre più allineate a una visione che tradisce le promesse del passato.
Nel gennaio 2009, con il “Accordo quadro per la riforma degli Assetti Contrattuali”, governo e sindacati si impegnarono a garantire che ogni rinnovo contrattuale preservasse il valore reale dei salari. Oggi quello spirito è stato dimenticato: i contratti si firmano in ritardo, gli aumenti arrivano dopo anni e l’inflazione corre molto più veloce delle tabelle ministeriali. E soprattutto: il Governo provvede a stanziamenti molto al di sotto del recupero del potere d’acquisto degli stipendi.
Un aumento di 416 euro in nove anni non è “interessante”: è il simbolo di un sistema che ha smesso di difendere il lavoro pubblico e la dignità di chi tiene in piedi la scuola italiana.



