L’ipotesi di accordo del CCNL Metalmeccanica Industria firmata ieri per il quadriennio 2025-2028 introduce aumenti distribuiti su quattro tranche annuali, da giugno 2026 a giugno 2028.
Incrementi rilevanti, con una crescita che va da un minimo di 165 per il livello D1 i 269 euro per il livello A1. Tuttavia, dietro la struttura economica del rinnovo, emerge un fattore nuovo: nessun aumento è stato previsto con decorrenza gennaio 2026, come previsto da altri accordi dei settori industriali (Telecomunicazioni, Emittenza TV, Laterizi, ecc). Opzione che avrebbe consentito di accedere alla detassazione annunciata dalla Manovra del Governo.
Una scelta sbagliata? Non proprio. La decisione è frutto di un posizionamento preciso delle organizzazioni sindacali: proteggere la clausola di garanzia sugli aumenti minimi – che si attiva a giugno di ogni anno – , ritenuta più utile e concreta rispetto alla detassazione proposta dal Governo Meloni.
La clausola di garanzia: un meccanismo unico che tutela davvero
Il punto centrale del negoziato è stato proprio la clausola che prevede l’adeguamento automatico dei minimi tabellari ogni giugno, sulla base dell’IPCA depurato.
Una clausola unica nel panorama contrattuale italiano, definita da molti delegati “unico scudo reale contro l’inflazione”.
Il suo valore è enorme: se l’indice IPCA NEI dovesse risultare più alto rispetto agli aumenti predefiniti dal contratto, i minimi verrebbero adeguati automaticamente anche oltre le cifre già stabilite.
In altre parole, i sindacati hanno scelto di mettere al riparo il potere d’acquisto, preferendo un meccanismo certo e strutturale rispetto a una detassazione considerata incerta e limitata.
Perché la detassazione non ha convinto i sindacati
La proposta del Governo Meloni prevedeva una tassazione ridotta al 5%, ma solo per chi ha un reddito fino a 28mila euro e solo sugli aumenti contrattuali (del CCNL). Mica su tutto l’importo in Busta. Una soglia giudicata “irrealistica” per il settore metalmeccanico: ne restano infatti esclusi tutti i lavoratori dal livello C3 in su. L’idea del Governo – tanto brillante quanto inutile e propagandistica – esclude oltre di 1 milione di metalmeccanici.
Secondo le stime, il beneficio fiscale toccherà soltanto operai comuni e apprendisti.
Una platea ristretta e con un ritorno economico minimo, che si applicherà soltanto sugli aumenti erogati da giugno 2026 a dicembre 2026. In altri termini parliamo di un vantaggio di una manciata di euro per mese.
Nessun aumento a gennaio 2026: una scelta conseguenziale
La mancanza di una tranche a gennaio 2026 non è un errore di Fim-Fiom-Uilm, ma la conseguenza della sfiducia nella misura fiscale. E il frutto di uno scambio lungimirante con Federmeccanica e Assistal.
I sindacati hanno preferito concentrare la trattativa sulla difesa dei minimi e sull’automatismo legato all’IPCA (fortemente messa in discussione dagli Industriali per mesi, portanto i lavoratori a 40 ore di sciopero), rinunciando a inseguire una detassazione ritenuta una “scatola vuota”.
Una scelta tecnica, ma soprattutto politica, che segna l’intero rinnovo: fissare gli aumenti salariali nel mese di giugno (quando esce l’IPCA NEI) offre maggiori garanzie. E il passato recente lo ha dimostrato nel fatti, quando tra il 2022 e il 2023 i lavoratori hanno ricevuto aumenti a 3 cifre, proprio grazie a questo meccanismo.



