Ora che ci siamo lasciati la pandemia del Covid-19 alle spalle, i redditi tornano a salire e la forbice tra le retribuzioni del Nord Italia e quella del Sud ad allargarsi.
L’emergenza sanitaria ha inferto una bella botta a tutti, soprattutto alle regioni settentrionali: nel Mezzogiorno, infatti, è più alta la quota di stipendi pubblici, indipendenti dalla congiuntura, e quindi il reddito pro-capite ha subito una riduzione più limitata. Adesso però, nella fase post-Covid, le regioni del Nord hanno ingranato la marcia mentre quelle del Sud faticano a stare al passo.
A dirlo sono i dati che arrivano dal Dipartimento delle Finanze del ministero del Tesoro e si basano sulle dichiarazioni dei redditi del 2021 (le più recenti disponibili), paragonate a quelle del 2020.
Regioni più ricche d’Italia: ecco la classifica
Dai dati raccolti dal Dipartimento delle Finanze e dal Ministero del Tesoro siamo in grado di stilare la classifica delle 5 regioni più ricche d’Italia, in base non solo al reddito pro-capite ma anche considerando il tasso di crescita rispetto al 2020:
- Lombardia: è la regione più ricca d’Italia, con 26.620 euro pro-capite e una crescita record del +5,1% nominale e del 3,4% reale;
- Liguria (+4,9% nominale e +3,2% reale);
- Toscana (+4,8% e +3,2%);
- Veneto e Marche (ex aequo con +4,8% e +3,1%);
- Emilia Romagna (+4,7% e +3,0%).
Tra le Regioni del Sud, invece, svettano:
- Puglia e Campania, ex aequo +4,4% nominale;
- Calabria e Basilicata fanno +4,3% nominale;
- Molise, +4,2% nominale;
- Sicilia, +4,1% nominale;
- Sardegna, +4,0% nominale.
Comunque, come fa notare La Stampa di giovedì 27 aprile, le differenze non sono abissali. Anche perché, a scompaginare un po’ le carte provvedono due ricche zone del Nord con crescita dei redditi pro-capite bassissima (Val d’Aosta +3,0% e +1,3% e Provincia autonoma di Bolzano +3,7% e +2,0%) e un piazzamento sorprendentemente basso di due Regioni del Centro, cioè il Lazio (+3,8% e +2,2%) e l’Umbria che risulta la peggiore d’Italia nel recupero reddituale post-Covid con un +1,4% nominale che si traduce addirittura (caso unico) in una crescita reale negativa dello 0,2%.