Roma, 17 luglio 2020 . – “La norma contenuta nella legge di conversione del decreto Rilancio che regolarizza il lavoro nei porti italiani non può essere strumentalizzata, pertanto chiediamo ad Alis di rivedere la sua posizione di contrarietà in merito”. Così dichiara la Fit-Cisl proseguendo: “Il legislatore italiano, quando a suo tempo ha recepito le direttive europee in materia di liberalizzazione dei trasporti, non ha stabilito norme di impiego minime e retribuzione minima da applicare per garantire il rispetto delle norme di sicurezza ed evitare ripercussioni sull’occupazione. Questo ha consentito lo sviluppo di pratiche che sono state di nocumento per le lavoratrici e i lavoratori portuali italiani e marittimi”.
“Non siamo contro la liberalizzazione perché la concorrenza genera qualità – prosegue la Federazione cislina – ma la competizione fra imprese, nel settore dei trasporti, è sana e leale quando, a parità di condizioni di sicurezza osservate e praticate (che significa formazione professionale adeguata e sistematica delle maestranze, orario di lavoro rispettoso dei dettami in materia di salute e sicurezza, rispetto dei tempi di riposo giornalieri, settimanali e ferie annuali, una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa giusto quanto previsto all’art. 36 del dettato costituzionale e via elencando) e di qualità prodotta, la capacità organizzativa delle imprese è tale da consentire l’offerta di un servizio a un prezzo inferiore. Negli anni invece abbiamo assistito a fenomeni distorsivi che sono andati in tutt’altra direzione e che hanno penalizzato le aziende italiane e il profilo occupazionale del nostro Paese.”
“Ci aspettiamo – concludono dalla Fit-Cisl – che Alis sia disponibile a rivedere la propria posizione in materia di autoproduzione, anche perché dal 1° gennaio 2020 è entrata in vigore in Europa (e quindi anche in Italia) e in Canada la “Dockers Clause” dell’Itf (International Transport Workers’ Federation), già vigente nel resto del mondo dal 2018, che prevede che né i marittimi né chiunque altro a bordo sia in servizio permanente che temporaneo da parte della compagnia di navigazione, deve prestare servizi di movimentazione merci in un porto, in un terminal o a bordo di una nave, in cui i lavoratori portuali, che sono membri di un sindacato affiliato Itf, stanno fornendo i servizi di movimentazione delle merci. Ciò a tutela della salute e sicurezza dei marittimi che sanno fare bene il loro mestiere e dei portuali che hanno l’esperienza e le conoscenze per svolgere un lavoro molto pericoloso. Se queste norme stanno bene a tutti gli armatori del mondo non capiamo perché non vanno bene agli armatori italiani.”
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Fonte: cisl.it