Negli ultimi anni, la riduzione dell’orario di lavoro è diventata un tema centrale nel dibattito politico ed economico europeo. La Spagna ha recentemente approvato un progetto di legge che riduce la settimana lavorativa da 40 a 37,5 ore, mantenendo invariata la retribuzione. Questa misura, se confermata dal Parlamento, interesserà circa 12 milioni di lavoratori, con l’obiettivo di migliorare la produttività e il benessere dei dipendenti. Soprattutto di chi appartiene a settori del turismo, commercio, edilizia e industria manifatturiera: saranno loro i principali “beneficiari” della riduzione.
Il dibattito italiano: la proposta di Legge e la richiesta dei sindacati metalmeccanici
In Italia, il tema è al centro delle discussioni politiche e sindacali. Alleanza Verdi Sinistra (Avs) ha presentato una proposta di legge per ridurre l’orario settimanale a 32 ore senza diminuire il salario. Accompagnata da un fondo di 275 milioni “per ciascuno degli anni 2025 e 2026” a favore delle imprese.
Parallelamente, i sindacati dei metalmeccanici Fim, Fiom e Uilm nella piattaforma per il rinnovo del contratto collettivo nazionale, chiedendo un aumento di 280 euro mensili e propongono una fase di sperimentazione per una settimana lavorativa di 35 ore a parità di retribuzione.
“Imprenditori scettici come 100 anni fa: ma l’economia non crollerà”
Le due proposte, poste in due ambiti differenti, uno politico-istituzionale e l’altro sindacale, al momento non sembrano avere chances di essere accolte. Da un lato c’è il governo che non intende scontenare la imprese, che frena sulla proposta di AVS. Dall’altro ci sono Federmeccanica e Assistal che propongono ai sindacati solo una sperimentazione, su disponibilità aziendale, che metta insieme riduzione orari attraverso la messa in gioco dei permessi annui retribuiti dei lavoratori.
Rimane che la parte preponderante dell’imprenditoria italiana rimane scettica. Le argomentazioni contrarie richiamano spesso timori storici e attuali, come la possibile diminuzione della competitività e l’aumento dei costi operativi. Tuttavia, esperienze passate e studi recenti suggeriscono che tali preoccupazioni potrebbero essere infondate.
E’ quanto sostiene sulle pagine de Il Fatto Quotidiano Alberto Granato, portavoce di Potere al Popolo, che sostiene come “non crollerà l’economia con la settimana corta. Le ragioni delle imprese erano false già cent’anni fa”. Cioè da quanto si conquistarono le 8 ore giornalieri, per la prima volta proprio in Spagna. Era il 1919.
“Non crollerà l’economia – scrive Granato, che riprende una vecchia proposta di Rifondazione Comunista degli anni ‘90 ma anche di sindacati come Fim-Cisl -. Gli imprenditori non sono preoccupati per questo ma perché rischiano di veder diminuire i propri profitti. A vantaggio di quei lavoratori e di quelle lavoratrici che negli ultimi 40 anni non hanno visto migliorare la propria condizione salariale malgrado gli aumenti di produttività che hanno abbondantemente sopravanzato quelli degli stipendi (anche laddove, come in Italia, l’aumento della produttività è stato basso). E che guadagnerebbero anche tempo libero, tempo di vita, da sempre un pericolo per chi comanda”.