Il Governo e il Parlamento potranno continuare a tagliare le rivalutazioni alle pensioni. Si tratta di scelte politiche non incompatibili con i principi della nostra Costituzione. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza n. 19 attraverso la quale ha respinto i dubbi di costituzionalità sollevati da alcune sezioni regionali della Corte dei Conti.
Perché la legge non viola i principi costituzionali
Secondo il “giudice delle leggi” sono da considerarsi legittime le misure introdotte dalla legge di bilancio 2023 per il contenimento della rivalutazione automatica delle pensioni superiori a quattro volte il minimo INPS. La Corte lo chiama “raffreddamento” del sistema di indicizzazione all’inflazione di chi prende a partire da 2.101 euro (siamo ai minimi vigenti nel 2023).
Secondo la Corte, il provvedimento – preso con le legge di Bilancio 2023, ma ribadito anche negli anni successivi – rispetta i principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza. Il meccanismo di rivalutazione salvaguarda completamente le pensioni più basse e riduce progressivamente l’indicizzazione per quelle più alte. Questo criterio “Robin Hood”, che salvaguarda i titolari di assegni più “poveri” facendo pagare i più “ricchi”, tiene conto della maggiore capacità economica dei pensionati con assegni più elevati.
Le motivazioni della Corte Costituzionale
La decisione della Corte si basa su tre aspetti principali:
- Tutela delle pensioni più basse: le pensioni di importo inferiore non subiscono alcuna penalizzazione.
- Riduzione temporanea: il taglio alla rivalutazione è limitato nel tempo. Su questo aspetto però ci sarebbe da dire qualcosa in più visto che il taglio viene oramai riproposto ogni anno con le legge di Bilancio. Davanti a questa reiterazione annuale dei provvedimenti di taglio il dibattito sulle presunte violazioni costituzionali non può ritenersi chiuso.
- Finalità economiche legittime: la misura è coerente con la politica economica del governo, mirata a contrastare l’inflazione e proteggere le fasce più deboli.
La riduzione prevedeva una rivalutazione parziale decrescente con queste percentuali:
- 85% agli assegni fino a 5 volte il minimo;
- 53% a quelli d’importo tra cinque e sei volte;
- 47% tra sei e otto volte;
- 37% tra otto e dieci volte;
- 32% alle pensioni oltre 10 volte il minimo.
Quali saranno gli effetti futuri?
La Corte ha sottolineato che eventuali perdite per i pensionati con assegni più elevati potranno essere rivalutate in futuro, in base alle prossime manovre economiche. Questo lascia aperta la possibilità di nuove misure correttive in caso di necessità. E’ scontato però che ogni decisione spetta al Governo e alla sua azione attraverso il Parlamento. Resta da vedere quindi se nei prossimi anni ci saranno ulteriori interventi per riequilibrare il sistema pensionistico.