La Corte d’Appello di L’Aquila, con sentenza n. 146/2025 del 12 maggio 2025, ha rigettato il ricorso di un autista dipendente di una società di trasporti, che rivendicava differenze retributive per lavoro straordinario non pagato. Il lavoratore sosteneva di aver svolto per anni un orario di 12 ore giornaliere, con prestazioni oltre le 39 ore settimanali previste dal contratto collettivo nazionale del settore trasporto merci e logistica.
Il punto centrale della causa era il riconoscimento come straordinario delle ore settimanali comprese tra le 39 e le 60 (previste dall’art. 11 bis del CCNL), sostenendo che l’attività resa non fosse discontinua, ma continuativa e interamente a disposizione del datore di lavoro.
Il cronotachigrafo non è prova sufficiente del lavoro straordinario
Il dipendente aveva prodotto i dischi del cronotachigrafo per dimostrare gli orari di inizio e fine giornata lavorativa. Ma secondo la Corte, tale documentazione non può da sola costituire prova del lavoro straordinario effettivo.
I giudici hanno precisato che il tempo di presenza non coincide automaticamente con il tempo di lavoro effettivo, specialmente nel settore dell’autotrasporto, dove vi è alternanza tra guida, attese e pause. I cronotachigrafi registrano la durata della guida e della presenza sul veicolo, ma non indicano la reale intensità della prestazione o l’eventuale inattività.
L’onere della prova è in capo al lavoratore, in modo rigoroso
La Corte ha confermato l’orientamento già espresso dal Tribunale: spetta al lavoratore fornire una prova rigorosa sia dello svolgimento dello straordinario sia della sua consistenza.
Nel caso esaminato, l’autista non aveva indicato la precisa collocazione delle ore ordinarie, delle pause, né i tempi effettivi di attesa per carico e scarico. Mancavano elementi idonei a ricostruire il reale superamento del limite delle 47 ore settimanali previsto dall’art. 11 bis del CCNL per il personale viaggiante discontinuo.
Inutili le nuove prove proposte in Appello
Le integrazioni istruttorie avanzate nel giudizio d’appello sono state ritenute inammissibili. La Corte ha giudicato tardiva la produzione di nuovi elementi, che non colmavano comunque le originarie carenze probatorie.
Il lavoratore, in appello, si era limitato a riproporre le stesse argomentazioni già respinte in primo grado, senza superare i rilievi sulle insufficienti allegazioni.