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Pensioni Docenti e ATA: dal Sistema Misto al Contributivo Puro Si Perde 400 euro al Mese

Il sistema pensionistico italiano è da tempo al centro di numerosi dibattiti e riforme. Tra i cambiamenti più significativi, vi è il passaggio dal sistema misto al sistema contributivo puro, che avrà un impatto concreto sulle pensioni future, in particolare per alcune categorie professionali come i docenti.

Con il nuovo assetto, Docenti e ATA rischiano di subire una riduzione della pensione mensile fino a 400 euro rispetto agli importi attuali. Questo scenario rende sempre più urgente la riflessione su strumenti come la previdenza integrativa e altre strategie per incrementare il proprio trattamento pensionistico.

Dal sistema misto al contributivo puro: cosa significa

Il sistema pensionistico italiano ha attraversato numerose riforme. Tra le più rilevanti vi è stata quella introdotta dalla legge Dini nel 1995, che ha creato il sistema misto: una combinazione tra metodo retributivo (che calcola la pensione sulla base degli ultimi stipendi percepiti) e contributivo (che invece si basa sui contributi effettivamente versati durante la carriera lavorativa).

Tuttavia, a partire dal 1° gennaio 2012, con la riforma Fornero, tutti i lavoratori – compresi quelli che avevano iniziato a lavorare prima del 1996 – sono passati, almeno in parte, al metodo contributivo. Per coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996, il sistema è invece interamente contributivo.

Negli ultimi anni, è cresciuta la quota di lavoratori che si troveranno ad andare in pensione con il calcolo basato esclusivamente sul sistema contributivo. Questo passaggio, pur necessario per la sostenibilità del sistema, comporta significative conseguenze economiche, in particolare per chi svolge professioni con stipendi bassi e carriere lineari, come i docenti.

L’impatto sulle pensioni per Docenti e ATA: fino a 400 euro in meno al mese

Docenti e ATA sono tra le categorie più penalizzate dal passaggio al sistema contributivo puro. Il motivo principale è che il loro stipendio, specie in Italia, non cresce in modo sostanziale nel corso della carriera, rendendo il calcolo contributivo poco vantaggioso rispetto a quello retributivo.

Con il sistema misto, un docente in pensione oggi percepisce in media tra i 1700 e i 1900 euro netti al mese. Tuttavia, con il passaggio al contributivo puro, si stima che la pensione possa scendere a 1300-1400 euro mensili, con una perdita che può superare i 400 euro al mese. Una cifra che, su base annua, si traduce in circa 5.000 euro in meno.

Questa riduzione è determinata dal fatto che il sistema contributivo calcola l’importo della pensione in base al “montante contributivo“, ovvero alla somma di tutti i contributi versati durante la vita lavorativa, rivalutati in base all’incremento del Prodotto Interno Lordo (PIL) e moltiplicati per un coefficiente di trasformazione legato all’età del pensionamento.

Previdenza integrativa: una necessità, non più una scelta

Alla luce di questo scenario, risulta evidente che il solo sistema pubblico non sarà più sufficiente a garantire un tenore di vita dignitoso una volta terminata l’attività lavorativa. Per questo motivo, è sempre più importante prendere in considerazione strumenti di previdenza integrativa.

La previdenza integrativa consiste in fondi pensione, individuali o collettivi, che permettono di accumulare nel tempo un capitale aggiuntivo rispetto alla pensione pubblica. Questi strumenti consentono di beneficiare anche di vantaggi fiscali: i contributi versati sono deducibili fino a un massimo di 5.164,57 euro l’anno, e la tassazione al momento del ritiro è agevolata rispetto a quella ordinaria.

Per Docenti e ATA, aderire a un fondo pensione può fare la differenza tra una pensione risicata e una che consenta di affrontare con serenità gli anni della terza età. Prima si inizia a contribuire, maggiore sarà il capitale accumulato grazie all’effetto degli interessi composti e delle rivalutazioni nel tempo.

Lavorare più a lungo e ore eccedenti

Un altro modo per aumentare il proprio montante contributivo – e quindi la futura pensione – è rappresentato dalle ore eccedenti, ovvero quelle ore aggiuntive rispetto all’orario obbligatorio svolte dagli insegnanti per supplenze brevi o altre attività scolastiche.

Queste ore, regolarmente retribuite, vengono anch’esse conteggiate ai fini pensionistici e vanno a incrementare l’ammontare dei contributi versati. Non solo: aumentano il valore del montante e, di conseguenza, la pensione futura. Un’opportunità che, se sfruttata in modo costante, può portare a risultati interessanti.

Inoltre, prolungare l’attività lavorativa oltre la soglia minima di pensionamento può produrre un ulteriore beneficio. Infatti, ogni anno in più di lavoro comporta il versamento di ulteriori contributi e l’applicazione di un coefficiente di trasformazione più favorevole, determinando un rendimento maggiore anche superiore al 6% annuo rispetto a chi va in pensione prima. Per esempio, andare in pensione a 67 anni invece che a 63 può portare a una differenza mensile significativa.

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