È stata finalmente firmata l’ipotesi di rinnovo del contratto scuola 2022/24, che riguarda docenti, personale ATA e DSGA. Dopo mesi di trattative e rinvii, l’intesa all’ARAN consente il pagamento degli arretrati maturati che decorrono solamente dal 2024, lasciando scoperti i primi due anni del triennio contrattuale e quindi, tutto il personale collocato in pensione dal nel biennio 2022-2023.
Un dettaglio tutt’altro che secondario, che ridimensiona fortemente l’entità economica dell’accordo e genera inevitabili delusione e amarezza nel mondo della scuola.
Gli arretrati del contratto scuola: un rimborso, non un vero aumento
Gli arretrati che verranno erogati non rappresentano un bonus aggiuntivo, ma il recupero delle somme spettanti a titolo di adeguamento salariale per i mesi in cui il nuovo contratto non era ancora operativo.
Questo significa che due anni interi di stipendi restano congelati ai vecchi valori, e il beneficio economico del rinnovo si riduce notevolmente rispetto alle aspettative iniziali.
Le tabelle reali: quanto spetta tra arretrati e aumenti del contratto scuola 2025
Secondo le tabelle ufficiali, il pagamento degli arretrati varierà sensibilmente in base alla qualifica e all’anzianità di servizio. Le somme nette previste sono le seguenti:
- Docenti scuola primaria e infanzia: da 923 € per chi è all’inizio della carriera fino a 1.311 € per chi ha oltre 35 anni di anzianità.
- Docenti scuola secondaria di primo e secondo grado: da 985 € a circa 1.489 € netti.

- Collaboratori scolastici: tra 859 € e 1.030 €.
- Assistenti amministrativi e tecnici: tra 881 € e 1.156 €.
- DSGA (Direttori dei Servizi Generali e Amministrativi): da 1.201 € fino a 1.676 € netti.

Sulla carta, si tratta di importi che possono sembrare importanti. Ma in realtà coprono solo due anni di arretrati e derivano da aumenti che, mediamente, producono appena 30-50 euro netti al mese. Se si rapportano le cifre ai due anni esclusi dal calcolo (2022 e 2023), il guadagno effettivo risulta molto più contenuto di quanto appaia.
Arretrati solo dal 2024: una decorrenza che pesa
Il punto più critico del rinnovo è proprio la decorrenza economica degli aumenti.
Sebbene il contratto sia riferito formalmente al triennio 2022-2024, gli aumenti tabellari e accessori entrano in vigore solo dal 1° gennaio 2024.
In pratica, il biennio 2022-2023 è considerato “scoperto”, senza alcuna rivalutazione salariale.
Questo ritardo non è solo tecnico, ma ha conseguenze concrete.
Alcun arretrato sarà potrà essere liquidato a chi è andato in pensione negli anni 2022 e 2023.
La scelta di far partire gli aumenti dal 2024 consente certo di contenere la spesa pubblica, ma penalizza decine di migliaia di lavoratori che hanno già perso potere d’acquisto a causa dell’inflazione.
Una tantum: un sollievo temporaneo
Per rendere più visibile l’effetto economico del rinnovo, è stato previsto anche un bonus una tantum, di 111,70 euro per i docenti e 270,70 euro per il personale ATA e DSGA.
Si tratta, tuttavia, di una voce temporanea e non ricorrente, che verrà pagata una sola volta e non influirà sugli stipendi futuri.
Gli aumenti tabellari, invece, sono i seguenti:
- Per i docenti, da 110 a 185 euro lordi mensili, a seconda dell’anzianità.
- Per il personale ATA, da 85 a 195 euro lordi.
Si tratta, in definitiva, di un rinnovo più simbolico che sostanziale, che serve soprattutto a chiudere formalmente un capitolo ormai scaduto e a preparare il terreno per il prossimo.
Il comparto scuola resta in attesa di un vero salto di qualità contrattuale, capace non solo di aggiornare gli stipendi, ma di riconoscere concretamente il valore del lavoro educativo e amministrativo che tiene in piedi ogni giorno il sistema scolastico italiano.



