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Aumenti e Arretrati nel 2026: Cosa Cambia per gli Statali col Nuovo CCNL Enti Locali

Dopo mesi di attesa e trattative complesse, è arrivata la firma sul rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale delle Funzioni Locali 2022–2024. L’accordo è stato raggiunto da CISL FP, UIL e sindacati autonomi, mentre la CGIL FP ha deciso di non sottoscrivere l’accordo, a detta sua “inadeguato” rispetto all’inflazione.

Il contratto interessa 430.000 lavoratori degli enti locali e porta con sé un paradosso: gli aumenti economici medi, circa 120–140 euro lordi mensili, e gli arretrati fino a 1.200 euro, rischiano di penalizzare chi ha più anni di servizio e qualifiche elevate.

Ma non solo: appare difficile che gli effetti economici si verifichino entro il 2025.

Arretrati: accrediti previsti dal 2026, con possibile accelerazione

Il rinnovo del CCNL prevede effetti economici retroattivi dal 1° gennaio 2022, ma il pagamento degli arretrati difficilmente potrà avvenire prima del 2026.

L’iter burocratico infatti richiede:

  • il parere della Corte dei Conti;
  • la firma definitiva da parte delle parti;
  • le variazioni di bilancio degli enti locali per coprire le somme arretrate.

Gli arretrati 2022–2025 saranno finanziati tramite le quote accantonate del risultato di amministrazione presunto, con variazione al bilancio 2026/2028. Gli enti dovranno verificare se gli accantonamenti già previsti siano sufficienti e, se necessario, intervenire con variazioni di bilancio o incrementi degli accantonamenti in sede di rendiconto. Sono quindi richiesti dei tempi tecnici ben definiti.

Tuttavia, non è escluso che il governo possa decidere di accelerare l’iter, dimostrando concretezza e volontà di farsi vedere attivo, così da garantire l’accredito entro l’anno.

Il paradosso degli aumenti: più alto il reddito, minore il netto

Oltre al possibile slittamento degli arretrati al 2026, c’è anche un altro punto da considerare.

Analizzando gli incrementi retributivi, emerge un effetto sorprendente: i funzionari con più anzianità e responsabilità ricevono un aumento netto inferiore rispetto alle fasce più basse. Si tratterebbe, in pratica, di una sorta di “aumento al contrario”.

Questo per via dell’appiattimento delle qualifiche previsto dal contratto 2019/2021, che uniforma gli aumenti nominali senza considerare ruoli, responsabilità e anzianità.

Inoltre, gli aumenti medi del 5,8–6% non compensano l’inflazione (fatto che ha spinto la Cgil Fp a non firmare il rinnovo) e creano una contraddizione evidente: chi guadagna meno ottiene più, mentre chi ha maggiore responsabilità subisce un incremento netto percentualmente inferiore.

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