L’articolo 2, comma 6-bis, della legge 153/1988 (di conversione del decreto 69/1988) esclude dal diritto a percepire gli assegni familiari gli stranieri perchè non considera quei componenti del suo nucleo familiare che non risiedono in Italia. Fa eccezione il caso in cui lo Stato di origine del titolare del permesso di soggiorno preveda un trattamento di reciprocità per gli italiani o sia stata stipulata una convenzione internazionale in materia di trattamenti di famiglia.
Questa norma è stata impugnata per via giudiziaria da due lavoratori stranieri che hanno portato l’Inps fino in Cassazione e poi alla Corte di Giustizia Europea. Dopo mesi di attesa è arrivata la sentenza. Ad annunciarne i contenuti è Il Sole 24 Ore in edicola oggi:
“Non è conforme al diritto dell’Unione europea la norma italiana che, ai fini degli assegni familiari, non considera nella famiglia di uno straniero presente in Italia il coniuge e i figli non residenti nel nostro Paese”.
“Al primo, – continua il quotidiano economico – titolare di permesso unico (permesso di soggiorno a fini lavorativi), l’istituto di previdenza ha negato l’assegno per gli oltre due anni in cui moglie e figli hanno vissuto nel Paese di origine”.
Ma non spetta solo a queste categorie. Il principio della parità di trattamento sancito dalla Corte europea infatti dovra regolare anche la condizione dello straniero “titolare di un permesso di lungo periodo, anche se la direttiva di riferimento è la 2003/109/Ce che impone di far beneficiare i soggiornanti di lungo periodo dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda, in particolare, le prestazioni sociali”.
L’orientamento giudiziario europeo spingerà, ora, il nostro Parlamento a correggere la norma del 1988 e quindi l’Inps a riconoscere gli assegni anche ai lavoratori stranieri.