I nuovi interventi a sostegno del trasporto aereo contenuti nella legge di Bilancio appena approvata possono sembrare a prima vista la logica conseguenza della necessità di salvare dalla crisi occupazionale i lavoratori degli aeroporti, dell’Alitalia e delle altre compagnie aeree. Una crisi che la pandemia di Covid-19 ha solo aggravato, vista la situazione già compromessa dai fallimenti di Air Italy, Ernest, Livingston executive, Meridiana, Wind Jet ecc. La legge prevede un cospicuo finanziamento per gli aeroporti (500 milioni di euro), e una proroga di sei mesi per la restituzione del prestito di 400 milioni erogato ad Alitalia.
La gravissima crisi che sta vivendo il trasporto aereo italiano, però, non è solo dovuta al crollo del traffico derivante dall’epidemia, ma arriva dagli inizi del nuovo secolo. Da quando cioè si è concluso il più grande investimento infrastrutturale italiano, quello per Malpensa 2000 (1,5 miliardi di euro in totale), e non è stato colpevolmente ratificato da Governo italiano il matrimonio di Alitalia con Klm. L’aggregazione con la compagnia olandese avrebbe dovuto portare ad Alitalia un posizionamento strategico su due mercati, quello nord europeo e quello mediterraneo, e potenziare le rotte intercontinentali. Non solo, Aliatalia avrebbe dovuto conformarsi allo stile gestionale degli olandesi e ridurre i suoi costi.
Da allora, invece, Malpensa è cresciuta meno della metà del previsto, sia per le merci che per i passeggeri, e non ha fatto da catalizzatore del traffico aereo: tant’è vero che non solo al Nord, ma in tutta Italia sono nati come funghi nuovi aeroporti, mentre altri sono stati ampliati e sovradimensionati. Solo sulla direttrice cisalpina Torino-Trieste vi sono ben 9 scali, uno ogni 50-60 km. Stessa cosa nel Centro-Sud, con la nascita degli scali di Salerno, Crotone, Comiso. Impossibile in queste condizioni raggiungere economie di scala, di scopo o di densità (il cosiddetto ‘effetto-hub’).
Nel frattempo Alitalia ha trovato la via giusta per conservare se stessa soltanto attraverso nuovi aiuti di Stato, e oggi con l’ennesima casacca denominata Italiana Trasporto Aereo (Ita). Fino ad ora si contano in quasi 13 miliardi i sussidi ricevuti dalla compagnia negli ultimi 40 anni. Non solo: il vettore ha fatto una strage di tutte le compagnie aeree nazionali che si sono azzardate a farle concorrenza, mangiandosele. Il primo regalino del 2021 alla compagnia di bandiera è, come abbiamo visto, la proroga di sei mesi della restituzione del prestito di 400 milioni.
Tornando agli aeroporti, nel nostro Paese c’è una pista per quasi ogni collegio elettorale, con 38 scali commerciali e ben 90 aperti al traffico civile. Questi 38 scali hanno avuto nel 2019 un traffico di 160 milioni di passeggeri, per una produttività media di 4,2 milioni di passeggeri/anno. Il confronto con gli altri paesi è impietoso: in Germania ci sono 23 scali per 227 milioni di passeggeri (9,8 milioni di passeggeri/anno per ogni scalo), in Francia gli scali sono 21 e i passeggeri trasportati 165 milioni (una media di 7,8 milioni di passeggeri/anno a scalo). Numeri che dicono tutto. Se già prima del Covid era impossibile tenere in piedi 38 scali, dopo questa crisi lo sarà ancora di più. Lo stesso varrà anche per Alitalia-Ita.
Per questo gli aiuti andavano trasferiti agli aeroporti inutili che avessero deciso di chiudere o di riconvertire progressivamente l’attività abbandonando le vanità campanilistiche. Invece, la legge di Bilancio ha introdotto nuove misure (per un importo di 25 milioni) per assicurare la continuità territoriale con gli aeroporti siciliani, e tariffe sociali per alcune categorie di viaggiatori da e per la Sicilia. Sempre per lo stesso scopo – la continuità territoriale – restano sempre in piedi contributi dalla regione Sardegna (rigorosamente senza gara per farli atterrare su Alitalia).
Nel 2019, per tenere in piedi i 38 aeroporti, le società di gestione hanno girato alle compagnie aeree (italiane ed estere) incentivi per oltre 450 milioni, finiti in gran parte nelle casse di Ryanair. Risulta peraltro sorprendente che siano proprio gli aeroporti del Nord, dove svetta il terzo scalo italiano per traffico e incentivi, Orio al Serio, i maggiori pagatori di incentivi per attirare le compagnie aeree. Insomma, se Alitalia è sussidiata dal governo, le altre compagnie aeree lo sono da regioni ed enti locali, che con rare eccezioni sono gli azionisti delle società aeroportuali.
Si può pertanto affermare che il Pil prodotto dalle attività aeronautiche – che secondo la Iata è pari al 2,7%, sotto la media europea – è generato quasi esclusivamente da risorse pubbliche, sia per la spesa corrente che per quella d’investimento. Un settore che genera ricchezza in quasi tutto il mondo in Italia finisce per distruggerla: e in più produce alti costi ambientali e non finanzia nessun intervento di mitigazione dell’inquinamento da rumore che da emissioni (chiedere ai Comuni confinanti con i sedimi aeroportuali).
Forse in pochi sanno che per il mantenimento in vita del settore aereo, dal 2009 è attivo un fondo di solidarietà. Nato per gestire il dehubbing di Alitalia da Malpensa a Fiumicino, il fondo è alimentato al 96% da un prelievo di una tassa d’imbarco dei passeggeri in partenza. Aziende e lavoratori hanno finanziato solo il 4% dei quasi 2 miliardi – tutti spesi prima della crisi Covid – finiti ad alimentare la cassa integrazione di Alitalia ma anche, inspiegabilmente, i gestori aeroportuali che chiudevano i bilanci con lauti profitti e dividendi. Per dare un esempio dell’iniquità dell’uso di tale tassa basti pensare che, secondo l’Inps, nel 2009 sono state erogate agli addetti in Cig 524 prestazioni mensili tra i 10mila e i 20mila euro, 887 prestazioni tra i 5 e i 10 mila euro e 4.144 assegni tra i 2 e i 5mila euro. Assegni dorati.
La ‘gestione’ politica di Alitalia si è sposata con il consociativismo sindacale e il campanilismo dei comuni, dove ciascuno vuole il suo scalo sostenuto dalla Camera di Commercio o dalla Confindustria locale. Ora il ministero dei Trasporti e l’Enac si apprestano a varare un nuovo Piano nazionale aeroportuale, che meglio si potrebbe definire piano della conferma della frammentazione aeroportuale italiana. C’è da scommettere che tutti i comuni cercheranno di tenere in vita il proprio aeroporto con le risorse del Recovery plan (e che gli stessi enti locali pretenderanno di avere l’Alta Velocità ferroviaria in ogni provincia).
A causa della crisi, invece, c’è da ripensare il trasporto aereo, la sua evoluzione e il suo grande impatto ambientale, ma soprattutto vanno eliminate le ingerenze corporative della politica nelle gestioni societarie, che hanno affondato il settore e distrutto ricchezza già prima del Covid. Ma l’esempio di Alitalia con la statalizzazione sfacciata giustificherà ancora richieste diseconomiche e abbasseranno l’efficienza dei gestori aeroportuali.
L’articolo Alitalia, un settore che altrove genera ricchezza in Italia finisce per distruggerla proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Fonte: ilfattoquotidiano.it