Tra pochissimi giorni avremo il nuovo decreto Covid che deciderà della vita economica e privata degli italiani dal 6 aprile in poi. Dalle informazioni che circolano da giorni pare che si proseguirà sulla strada della prudenza tracciata fin qui. Lo ha confermato anche il Presidente Mario Draghi parlando ai giornalisti venerdì, che ha anticipato come l’unica novità potrà riguardare l’apertura delle scuole dal 7 aprile. E per il resto? Per il resto si va avanti con le zone arancione e rosse fino alla fine del mese. Niente più giallo almeno per un mese.
Non è d’accordo con questa decisione il quotidiano Il Tempo che in una lettera-editoriale a firma del Direttore Franco Bechis punta dritto a mettere in discussione la scelta che il Governo farà di qui a poche ore:
“non c’è un solo studio scientifico accettato da una rivista del settore che dica che la scuola sia un luogo di sicuro. Non lo è. Si faccia dare un solo studio che abbia esaminato la crescita dei contagi a pranzo o a cena in un ristorante. O in palestra, in un bar aperto dove si consuma per pochi minuti. In una pasticceria, in una barberia. Glielo anticipo: non esistono. Perchè riapre la scuola anche dove i contagi sono in salita e non riapre questi luoghi, a cui è stata imposta nel maggio dell’anno scorso una ristrutturazione costosa per poter lavorare in sicurezza? Non era lei al governo, ma il suo predecessore. Ma per la gente conta poco: lo Stato ha imposto loro dei protocolli costosi, e poi li ha pugnalati tutti alle spalle. E come ben sa, non ha rimborsato quelle spese sostenute e solo in maniera parzialissima, il danno da loro subito con le chiusure”.
Infine un invito a Draghi a non firmare un decreto così penalizzante per le attività economiche:
“Ci lamentavamo l’anno scorso dell’eccesso di chiusure quando alla guida c’era Giuseppe Conte. Quel che ci si prospetta ora è onestamente peggio: se ci basiamo sugli indici di contagio, per quale motivo sono state abolite le zone gialle che tante riaperture parziali almeno garantivano?” […] Non può metterci la firma, signor Presidente”.
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