Costretto a vivere in condizioni inumane e degradanti, che lo mettono in una condizione di precarietà e debolezza, un bracciante agricolo ivoriano si è rivolto alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) per chiedere la condanna dello Stato italiano perché «lede i diritti fondamentali come il diritto alla vita, alla salute, alla dignità».
E’ la storia di D.H., cittadino ivoriano di 30 anni, rifugiato politico in Italia dal 2009, che assistito dai legali, Angela Bitonti del Foro di Matera, e da Sonia Sommacal del Foro di Belluno, ha deciso di chiamare in causa la Corte istituita per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) del 1950.
Caporalato e sfruttamento nel lavoro agricolo: cosa accade in Basilicata
Stando a quanto riporta il portale di informazione giornalistica basilicata24.it nell vertenza legale il bracciante è sostenuto anche da un gruppo di associazioni impegnate nella tutela della legalità e dei diritti e il soggetto chiamato in causa è lo Stato, la Regione Basilicata e gli Enti locali ‘colpevoli’ di non aver messo in campo sufficienti e efficaci azioni amministrative volte a tutelare “il diritto fondamentale alla vita e del diritto di non subire trattamenti inumani e degradanti”.
E’ quanto accade puntualmente, secondo le ricostruzioni del bracciante D.H. non solo a lui ma anche alle migliaia di stagionali stranieri che da almeno venti anni transitano in Basilicata, soprattutto nel Vulture Melfese e nel Metapontino per i mesi estivi, dormendo in casolari abbandonati, senza i servizi basilari come luce e acqua, senza porte e finestre, e senza i servizi sanitari.
Identica – va detto – è la condizione denunciata da altri braccianti, italiani e stranieri, in altri territori e in altre regioni del nord e del sud.
«Le peculiarità di questo tipo di lavoro, tra cui la stagionalità, la precarietà, la mobilità just-in-time, per “inseguire” le varie raccolte – scrivono gli avvocati nel ricorso alla Corte – e l’informalità dei rapporti di lavoro, hanno accentuato la condizione di vulnerabilità dei lavoratori migranti e quindi dello stesso ricorrente».
Caporalato e sfruttamento: lo Stato è colpevole?
Il ricorso mette in luce come nonostante lo Stato italiano abbia predisposto un’azione normativa per contrastare il caporalato, l’azione amministrativa che ne consegue è “inefficace”. Un modo elegante per dire che lo Stato fa le leggi ma poi non le fa rispettare adeguatamente. Lo stessto vale per la Regione Basilicata, tirata in ballo anche per non aver avviato una programmazione strutturale a tutela del lavoro dei migranti agricoli e della loro accoglienza, ponendo in essere, così, le condizioni per il loro sfruttamento e lo svilupparsi di fenomeni come il caporalato, l’intermediazione illecita di manodopera. Peraltro presente non solo in agricoltura ma anche in edilizia.
“Detta situazione – motivano gli avvocati che chiedono il pronunciamento favorevole della Corte dei diritti dell’uomo – , costituisce per il lavoratore una violazione del suo diritto alla vita, del diritto alla salute, del suo diritto alla vita privata nonché lo sottopone a condizioni abitative inumane e degradanti, discriminandolo – conclude il legale – rispetto ai lavoratori agricoli stagionali italiani e comunitari».
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