Se dalla Germania arrivano le prime notizie di accordi che tengono fermi gli aumenti di stipendio dei lavoratori per supportare la dura fase economica e non innescare ulteriori rialzi inflattivi, in Italia la situazione incomincia ad essere ‘calda’.
Da un lato le imprese, con Confindustria, che frenano sugli aumenti del costo del lavoro e preferiscono investire sul salario di produttività, che sull’aumento dei minimi retributivi, dall’altra il sindacato chiede di rimettere in discussione gli accordi esistenti per proteggere il potere d’acquisto dei lavoratori, corroso dal rialzo dei prezzi.
Ne parla Il Sole 24 Ore in edicola oggi:
“il corto circuito che le imprese vogliono evitare è che i rincari finiscano per tradursi in crescita del costo del lavoro. Di qui la richiesta delle aziende al governo di ridurre subito il cuneo fiscale-contributivo e di spingere la produttività, leve fondamentali per far crescerei salari e sostenere le aziende. In vista della tornata contrattuale tra i sindacati Cgil e Uil premono per superare l’indicatore Ipca depurato dall’energia, considerandolo inadeguato alla salvaguardia delle retribuzioni dei lavoratori. Mentre la Cisl, che non vuole mandare in soffitta l’attuale modello contrattuale, considera un errore dare per scontato che i rinnovi contrattuali debbano essere fatti decurtando dall’Ipca l’intero effetto degli aumenti dei prezzi delle materia energetiche. Di qui la richiesta al governo di affrontare la questione in un tavolo tecnico, evitando di trasferire il conflitto interpretativo sui tavoli dei rinnovi contrattuali”.
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