Tassa piatta sì, tassa piatta no. La proposta di legge delega del Governo sul fisco che ora dovrà approdare in Parlamento pone la flat tax come un obiettivo della legislatura, da raggiungere quindi nei 5 anni. Sarà immediata solo per i dipendenti che hanno goduto di un aumento di stipendio.
Intanto, per arrivare alla tassa piatta (quindi con una sola aliquota a prescindere dal reddito) sono state ridotte le aliquote IRPEF: si passa così da quattro scaglioni di reddito a tre.
Ancora non è legge ma già veleggiano le prime polemiche in merito. A schierarsi contro la flat tax è Maria Cecilia Guerra (in foto), viceministro del Lavoro nel Governo Monti e ora deputata dem. Lo fa parlando con La Stampa di venerdì 17 marzo. “Che effetti produrrà la flat tax quando mai andrà a regime?” le viene chiesto nel corso dell’intervista:
«Sarà una imposta che per quelli che fanno parte della fascia più povera dei contribuenti non cambia quasi niente, perché l’imposta viene molto affievolita se non annullata per effetto di deduzioni e detrazioni; la fascia centrale pagherà in proporzione alla nuova imposta, mentre quelli delle fasce più alte avranno il guadagno maggiore. Perché per loro è maggiore la distanza tra l’imposta che pagano sulla porzione più alta del loro reddito e quella che sarà l’imposta flat».
Insomma, un’eventuale tassa piatta favorirà senz’altro i redditi più alti, così come la riduzione degli scaglioni, spacciata per semplificazione ma che invece, a detta della deputata, «appiattisce l‘imposta e quindi riduce la sua capacità redistributiva». Inoltre, si porrebbe il problema delle risorse. Un intervento del genere è costoso e comporta perdite molto significative: il rischio al quale si va incontro è quello di compromettere il finanziamento dei beni pubblici essenziali, a partire dalla sanità.