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Piano industriale Mittal: 3200 licenziamenti. E scarica i 1800 operai che aveva promesso di riassumere. Sindacati: “Covid è solo l’alibi”

Ben 3200 esuberi e il mancato assorbimento dei 1800 dipendenti rimasti temporaneamente in forza a Ilva in Amministrazione straordinaria. Sono i numeri contenuti nel piano industriale per l’ex Ilva inviato poche ore fa da ArcelorMittal Italia al Governo. Un piano di 500 pagine che porterebbe l’organico diretto dell’azienda dagli attuali 10.700 lavoratori a 7.500. Nessuna speranza di tornare in fabbrica quindi per tutti gli operai che secondo l’accordo del 2018 tra Governo e fabbrica per l’avvio della gestione indiana delle fabbriche italiane, erano destinati alle bonifiche per essere successivamente riassorbiti nell’organico di Arcelor. Un piano quindi che seppur ridimensionato e rimodulato, non si discosta troppo dai 5mila esuberi immediati annunciati il 4 marzo scorso, quando la proposta fu definita “inaccettabile” dai ministri dell’esecutivo e dai sindacati metalmeccanici. Nel piano inviato, inoltre, ci sarebbe l’ipotesi di arrivare a produrre, una volta a regime, 6 milioni di tonnellate e non più 8 milioni utilizzando solo tre altiforni: Afo1, Afo2 e Afo4.

Palombella (Uilm): “Governo ci convochi subito” – “In queste ore – ha commentato Rocco Palombella, Segretario Generale Uilm – si stanno vivendo momenti di alta tensione in tutti gli stabilimenti. ArcelorMittal ha dichiarato di aver presentato un piano industriale che, secondo fonti giornalistiche, sarebbe di 500 pagine e prevederebbe 4mila esuberi, ritardi negli investimenti ambientali, nell’ammodernamento e manutenzione degli impianti. Se venisse confermato sarebbe numeri inaccettabili e drammatici. Da parte del Governo non vi sono ancora dichiarazioni ma solo silenzio”. Per il sindacalista cresciuto come operaio nello stabilimento ionico, il Governo deve far conoscere immediatamente “il contenuto di questo piano perché sarebbe inaccettabile che migliaia di lavoratori e intere comunità rimanessero appesi a notizie di stampa non confermate ufficialmente o nuovamente a piani industriali secretati. Patuanelli – ha concluso Palombella – convochi subito un incontro al Mise”.

Bentivogli (Fim-Cisl): “Coronavirus ottimo alibi per licenziare e smantellare” – Sulla stessa linea il segretario della Fim-Cisl Marco Bentivogli: “Come sempre siamo gli ultimi a conoscere i contenuti dei piani industriali ma i primi a pagarne il conto – ha detto – Da alcune indiscrezioni, si apprende che il piano presentato non sarebbe lontano dall’accordo raggiunto a marzo scorso al Tribunale di Milano, quando si chiuse il contenzioso tra Ilva in amministrazione straordinaria e ArcelorMittal. Accordo mai concordato con il Sindacato a marzo e che prevede di risalire nel 2025, alla produzione di 8 milioni di tonnellate da farsi anche attraverso forno elettrico, e non solo altoforno. Non sono accettabili gli esuberi dichiarati intorno alle 3300 unità e una produzione che si assesterebbe intorno ai 6 milioni di tonnellate annue”. Secondo Bentivogli, “ArcelorMittal avrebbe fatto presente che lo scenario, rispetto all’accordo di marzo, è profondamente cambiato a causa del lockdown. Ottimo alibi per ritardare ancora la ripartenza dell’Afo5 e continuare a smantellare lo stabilimento e a non proseguire le opere ambientali. Nel frattempo – ha aggiunto – nell’indotto non si pagano stipendi da mesi e in molti casi non arrivano le risorse degli ammortizzatori sociali. L’accordo del 6 settembre 2018 prevedeva zero esuberi e 8mln di tonnellate nel 2023. Ora esuberi, Cassa Integrazione e ritardi negli investimenti – ha sottolineato – e i 10.700 al lavoro nel 2025 sono solo teorici e senza nessuna consistenza. Complimenti – ha concluso il sindacalista – a chi ha tolto lo scudo penale dalla scorsa estate e ha dato un ottimo alibi all’azienda per disimpegnarsi“.

Re David (Fiom-Cgil): “Negli stabilimenti situazione esplosiva” – Dello stesso tono le parole di Francesca Re David, segretaria generale Fiom-Cgil: “Si apprende che il piano presentato oggi al Governo da ArcelorMittal è sostanzialmente lo stesso di cui si parla da quasi un anno con il cambio della direzione; con le aggravanti dell’ulteriore rinvio degli investimenti per il revamping dell’Afo 5 e del blocco del piano ambientale. Quindi la crisi determinata dalla pandemia del Covid-19 non c’entra assolutamente nulla – ha detto la sindacalista – Negli stabilimenti la situazione sta diventando esplosiva per una gestione inadeguata messa in atto dall’azienda. È inaccettabile qualunque soluzione che smentisca l’accordo che abbiamo fatto che prevedeva zero esuberi. Riteniamo – ha concluso – che questo piano sarà giudicato irricevibile anche dal Governo tanto più che adesso lo Stato entrerebbe nella proprietà. È urgentissimo che il Governo convochi i sindacati non a giochi fatti, ma nel pieno della discussione”.

Patuanelli (prima del piano): “Se Mittal vuole andarsene, andasse” – E proprio il ministro Stefano Patuanelli, questa mattina in un’intervista a Radio Anch’io aveva parlato di “un piano in linea con gli accordi di marzo” aggiungendo che i tagli all’occupazione restavano una “cosa per noi inaccettabile“. Nell’intervista Patuanelli non ha usato mezzi termini nei confronti della multinazionale dell’acciaio: “Se vuole andarsene, andasse” ha detto chiaramente ricordando l’esistenza di “clausole di uscita” previste dal contratto. La previsione dello Sviluppo Economico era quella di “un piano non in linea con quanto discusso a marzo e con quanto si aspetta il governo”. Parole che qualche ora dopo, in sostanza, avrebbero trovato conferme. E così il futuro dell’ex Ilva di Taranto sembra ormai legato all’intervento dello Stato attraverso Cassa Depositi e Prestiti che lo stesso ministro ha dichiarato come “inevitabile”: “Non ci si può più permettere di ragionare su una crisi aziendale, Taranto forse è il tavolo di crisi più ampio ma se guardiamo al caso singolarmente facciamo un errore“. Insomma per Patuanelli “serve un piano strategico per la filiera” che tuttavia per gli stabilimenti di Taranto, Novi Ligure e Cornigliano, al momento, sembra non esserci. All’intervento di Cdp, infatti, serve un player affidabile del settore acciaio. Un joint venture che permetta di replicare il modello “Piombino”, l’acciaieria rilanciata dalla gestione Jindal.

La situazione degli stabilimenti italiani – A Taranto, invece, la situazione appare profondamente differente. La credibilità di Arcelor è minima alla luce anche delle numerose questioni che nei mesi della sua gestione si osno sollevate. Dal rapporto pessimo con le ditte dell’indotto a quello coi dipendenti diretti che una settimana fa sono rimasti fuori ai cancelli perché collocati nel corso della notte e senza alcun preavviso in cassa integrazione. Ed è di ieri la notizia che Arcelor ha chiesto nuovamente il ricorso alla cassa per altre 9 settimane per tutti i lavoratori a eccezione: dal 6 luglio, quindi, proseguirà la cassa per ben 8157 dipendenti. Sempre che Arcelor non faccia le valigie anzitempo.

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Fonte: ilfattoquotidiano.it

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