Roma, 9 luglio 2020 – Affidare ai laureandi in scienze della formazione primaria, in caso di esaurimento delle normali graduatorie, attività di supplenza nella scuola primaria e dell’infanzia è una scelta che già oggi viene molto spesso praticata, specie nelle aree del centro nord, e che consideriamo giusto e opportuno ricondurre a una regolazione più puntuale e trasparente. Per questo fatichiamo a comprendere le ragioni contrarie, espresse fra l’altro da esponenti del mondo accademico, forse preoccupati del fatto che in questo modo si consenta di insegnare a chi non ha ancora il titolo per farlo. In realtà, nessuno mette in discussione il principio per cui solo il possesso del prescritto titolo di studio può consentire l’accesso stabile all’insegnamento: ma nel caso in questione si gestisce una situazione di emergenza, tant’è che i laureandi non entrerebbero a far parte delle normali graduatorie, ma di una fascia distinta e aggiuntiva, utilizzabile solo ed esclusivamente in subordine a quelle, quando non sia più possibile attingervi per mancanza di aspiranti.
In fondo è quanto oggi avviene con le cosiddette MAD, e non c’è alcun dubbio che utilizzare per le supplenze elenchi regolarmente compilati e graduati di laureandi in SFP fornisca più garanzie, sia in termini di trasparenza che di qualità. Se poi a chi studia da insegnante si offre un’opportunità di lavoro sul campo, ovviamente retribuito, si fa cosa utile alla sua formazione e nello stesso tempo si può alleviare la sua famiglia dai costi non indifferenti legati alla frequenza degli studi universitari.
Dunque è proprio difficile capire perché si contesti quella che appare come una scelta ragionevole, opportuna e di buon senso. A meno che sia proprio l’introduzione di regole a dare fastidio, ma allora bisognerebbe spiegare perché sia preferibile lasciare campo libero al discutibile e incontrollabile sistema delle MAD.
In realtà ciò che meriterebbe piuttosto una riflessione è come mai le nostre ripetute richieste di una programmazione più efficace e aderente al fabbisogno dei percorsi di formazione, per l’insegnamento in generale e per le attività di sostegno in particolare, trovino sempre così scarsa attenzione e disponibilità proprio da parte delle Università. A vent’anni dall’abolizione degli istituti magistrali, anziché perdersi in polemiche incomprensibili sarebbe meglio interrogarsi sulle ragioni per cui in molte aree del Paese l’offerta di lavoro nella scuola continui a rivelarsi nettamente superiore alla domanda, e agire di conseguenza con una più accorta e credibile gestione dell’offerta formativa.
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Fonte: cisl.it