E’ il Tribunale di Venezia a pronunciarsi sul diritto a fruire del buono pasto da parte dei lavoratori che svolgono lo smart working (leggi qui il decreto dell’8 luglio 2020).
La questione è emersa fortemente su spinta della situazione di Emergenza Covid19 che ha costretto molte aziende e amministrazioni pubbliche a collocare i propri dipendenti in modalità “lavoro agile”.
Il caso esaminato dal Tribunale di Venezia riguarda la decisione del Comune di Venezia di non riconoscere il benefit agli smart workers. Da qui il ricorso del sindacato interno (FP-CGIL) sulla base del presupposto che secondo le indicazioni del Ministero della Pubblica Amministrazione (circ. 2/2020) le nuove determinazioni in materia di organizzazione del lavoro degli uffici a causa del Covid19 sono assunte previo confronto con le organizzazioni sindacali.
Con il decreto dell’8 luglio il Tribunale ha escluso il diritto al buono pasto per i lavoratori che svolgono la loro prestazione in modalità smart working poichè “per la maturazione del buono pasto, sostitutivo del servizio mensa (v. art. 45 CCNL di comparto), è necessario che l’orario di lavoro sia organizzato con specifiche scadenze orarie e che il lavoratore consumi il pasto fuori dall’orario di servizio”. Presupposto che secondo il giudice non sussiste “proprio perché il lavoratore è libero di organizzare come meglio ritiene la prestazione sotto il profilo della collocazione temporale”.
Inoltre, si legge ancora nel decreto “i buoni pasto non rientrano sic et simpliciter nella nozione di trattamento economico e normativo, che deve essere garantito in ogni caso al lavoratore in smart working ex art. 20 Legge n. 81 del 2017″ – la normativa che ha regolamentato il lavoro agile per la prima volta – poichè si tratta di “un beneficio conseguente alle modalità concrete di organizzazione dell’orario di lavoro”.
Il decreto, infine, si conclude escludendo ogni violazione da parte del Comune delle norme sul diritto all’informativa dei rappresentanti dei lavoratori, sulla base del presupposto che l’Amministrazione non ha fatto altro che applicare il dettato normativo sull’Emergenza epidemiologica non trattandosi di atto gestionale e discrezionale.