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Reddito di cittadinanza, con l’Anpal in stallo Conte incarica la ministra Pisano di creare la app per incrociare domanda e offerta di lavoro

Come aveva fatto capire sabato, Giuseppe Conte vuole una svolta sul reddito di cittadinanza. La misura compie 18 mesi – a ottobre iniziano le previste sospensioni ai primi beneficiari, che per riottenerlo dovranno rifare domanda – e troppo tempo è stato perso, ha sottolineato il presidente del Consiglio, sul fronte dell’inserimento dei beneficiari nel mondo del lavoro. La app per l’incrocio domanda-offerta, tante volte promessa dal presidente di Anpal Mimmo Parisi, non c’è ancora, rallentata da tensioni interne all’agenzia (“non mi fanno lavorare”, ha sostenuto Parisi dopo le polemiche sui suoi ricchi rimborsi spese rinfocolate dalla direttrice generale Paola Nicastro). Ecco perché Conte, come riporta il Corriere, ha preso in mano il dossier incontrando per tre volte la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo, quella dell’Innovazione Paola Pisano e lo stesso Parisi: la Pisano è stata incaricata – scavalcando Parisi, apparentemente – di istituire una task force che progetti e renda operativa entro 6 mesi una struttura informatica per collegare le Anpal regionali e da cui dovrebbe poi nasce una app nazionale.

Finora, come mostrano i dati, il sistema messo a punto per garantire ai beneficiari del reddito alcune offerte di lavoro non ha funzionato. Su circa 3 milioni di beneficiari (dato di agosto), poco più di un terzo è soggetto all’obbligo di sottoscrivere il patto per il lavoro e meno di 200mila hanno sottoscritto un contratto. Spesso di brevissima durata e trovato nella maggior parte dei casi attraverso contatti personali e non grazie a centri per l’impiego e navigator, anche se su questo non ci sono dati precisi perché né Anpal né ministero del Lavoro li forniscono. Peraltro, fino al rinnovo che scatta dopo 18 mesi le prime due offerte si possono rifiutare.

Quanto ai lavori di pubblica utilità – almeno 8 ore alla settimana – il ministro Luigi Di Maio (M5s) nel fine settimana s’è chiesto “perché su 8mila comuni solo in 400 hanno approvato i regolamenti” e ha ipotizzato che “ci sia una voglia di sabotare lo strumento”. E ha anche proposto di aumentare quelle ore aggiungendo che “siccome sono persone che hanno degli aiuti dallo Stato e chi paga sono imprese, commercianti, partite Iva che pagano le tasse, il primo lavoro di pubblica utilità è far lavorare queste persone per lavori di pubblica utilità per le imprese, per i commercianti, per le partite Iva. Mettiamo in comunicazione queste parti della società. Perché non sta succedendo?”.

Intanto da Italia viva arriva puntuale una nuova bordata: “Mi spiace dirlo ma eravamo stati facili profeti”, sostiene Teresa Bellanova, ministra delle Politiche agricole, in un’intervista al Corriere. “Così com’è il reddito di cittadinanza non funziona. E un intervento perché venga cambiato adesso non è più rinviabile. In un momento drammatico per l’economia, una misura di sostegno al reddito può anche avere una sua efficacia. Il problema è che il reddito di cittadinanza non raggiunge nessuno degli obiettivi per il quale, almeno a parole, era stato approvato” perché “non c’è stata la possibilità di controllare che effettivamente i percettori del reddito accettassero o meno i lavori che eventualmente gli venivano offerti. Non c’è alcun tipo di controllo”. In più “chi monitora la domanda e l’offerta di lavoro, consentendo quindi di capire di quale tipo di lavoratori hanno bisogno le imprese? Nessuno. Quindi ci troviamo nella condizione non più tollerabile, soprattutto se guardiamo al tasso di disoccupazione delle giovani generazioni, di ragazzi che cercano lavoro e di imprese che non trovano lavoratori”.

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Fonte: ilfattoquotidiano.it

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