Lo smart working per far fronte all’emergenza sanitaria da Covid-19 si è rivelato uno strumento fondamentale per numerose attività economiche e probabilmente, dato il prolungamento dello stato di emergenza, il suo utilizzo verrà rafforzato (per leggere la news di ieri clicca qui).
Un aspetto importante da tenere in considerazione è conciliare lo smart working con la privacy dei lavoratori e con la sicurezza dei dati aziendali e ciò si collega con la questione della gestione dei controlli sul lavoratore.
Tale aspetto rischia di essere talvolta trascurato davanti all’utilizzo massivo e spesso sbrigativo dello strumento del lavoro agile. Come accaduto dal lockdown in poi. Ad evidenziare i limiti connessi alle regole basilari sui controlli a distanza dei lavoratori, previste dall’art. 4 Statuto dei lavoratori, è il quotidiano Il Sole 24 Ore in edicola oggi:
“I mesi di forzato “lavoro casalingo” hanno fatto dimenticare che questa disposizione pone dei paletti precisi per l’uso delle nuove tecnologie. La norma vieta, infatti, l’uso di ogni strumento che consenta il controllo a distanza dei lavoratori, facendo limitate eccezioni per gli «strumenti di lavoro» (nozione introdotta dal Jobs Act e ancora molto controversa) e gli apparecchi il cui utilizzo sia stato autorizzato da un accordo sindacale o, in mancanza, da un provvedimento dell’Ispettorato del Lavoro. In questo
contesto restrittivo, molti strumenti normalmente usati dalle aziende per gestire la prestazione lavorativa rischiano di entrare in conflitto con l’impostazione della norma“.
Dunque il forte utilizzo dello smart working indotto dall’emergenza epidemiologica apre a scenari applicativi che non sempre offrono certezze agli operatori, è bene quindi – anche a distanza di mesi dal primo utilizzo – interrogarsi sulla corretta gestione dello strumento per garantire il rispetto delle norme di tutela della dignità e la privacy del lavoratore.
Manuel Baldi, Otello Bianchi