I dati Istat hanno registrato nel 2020 il più alto tasso di povertà assoluta in Italia a partire dal 2005. L’emergenza sanitaria da Covid-19 ha innescato una crisi economica e sociale che ha gravato pesantemente sui nuclei familiari, tanto che le famiglie in difficoltà sono oltre due milioni, passando dal 6,4% del totale del 2019 al 7,7% e coinvolgendo 5,6 milioni di persone (un milione in più del 2019). L’incidenza della povertà assoluta, pur rimanendo più alta al Sud, ha registrato nell’ultimo anno una crescita maggiore al Nord, dove la povertà dei nuclei familiari è salita dal 5,8% al 7,6%.
Si tratta di dati drammatici, soprattutto perché la crisi ha colpito anche categorie che negli anni precedenti erano state toccate in maniera più lieve. Ecco il commento in proposito del quotidiano La Stampa in edicola oggi:
“Fra i nuovi poveri c’è chi ha perso il lavoro, ma ci sono anche tanti piccoli commercianti o artigiani che hanno dovuto chiudere, le persone impiegate nel sommerso che non godono di particolari sussidi o aiuti pubblici e non hanno risparmi accantonati, come pure molti lavoratori a tempo determinato o con attività saltuarie che sono state fermate dalle limitazioni rese necessarie dalla diffusione dei contagi“.
Ciò che più salta all’occhio dall’analisti Istat è un aumento della povertà tra le categorie dei lavoratori autonomi e la diffusione del fenomeno nel Nord del Paese. La spiegazione di ciò risiede nel fatto che le chiusure imposte dal Governo per evitare la diffusione del coronavirus hanno inciso soprattutto sui privati, dunque commercianti e artigiani, partite IVA e lavoratori dipendenti, che godono di minori tutele statali e che costituiscono il ‘cuore’ dell’economia delle regioni settentrionali.
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