Stavolta dietro l’ennesima inchiesta sul Caporalato nell’agricoltura c’è anche il coinvolgimento della moglie di un prefetto, attualmente Capo del dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno. Si tratta di Rosalba Bisceglia Livrerio, moglie del prefetto Michele Di Bari, dal 2019 a capo del dipartimento del Viminale che è indagata insieme ad altre 15 persone di cui 5 arrestati.
La donna, ora sottoposta a provvedimento di obbligo di dimora, è socia di una delle dieci aziende agricole che avrebbe fatto ricorso alla pratica della intermediazione illecita di manodopera (conosciuta come Caporalato) verso diverse decine di lavoratori immigrati che venivano pagati 5 euro a cassone di pomodori riempito. Si parla di un giro d’affari complessivo di oltre 5 milioni di euro.
Il Prefetto Di Bari, uomo di legge al servizio dello Stato dal 1990, una volta saputo della notizia ha immediatamente lasciato l’incarico e difeso la moglie.
Secondo quanto si legge sul Corriere della Sera per il gip di Foggia Rosalba Bisceglia Livrerio la situazione era molto chiara: la moglie del dirigente del Ministero diretto da Luciana Lamorgese “era sì «consapevole delle modalità e della condotta di reclutamento e sfruttamento» e trattava direttamente con uno dei caporali finiti in carcere”.
Lo sfruttamento dei braccianti funzionava così. I braccianti erano stati istruiti dai caporali “a mentire sulla retribuzione: dovevano dire di percepire 65 euro al giorno per 7 ore di lavoro, invece non ne guadagnavano più di 35 per 10 ore, che diventavano 25 perché 5 euro dovevano essere versati per il trasporto e 5 per la intermediazione“.
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