Boom di dimissioni nel 2022: solo nei primi nove mesi dell’anno scorso sono stati 1,6 milioni i lavoratori che in Italia hanno lasciato volontariamente il proprio impiego.
Complice il post-covid o contratti poco pagati, il numero di chi da gennaio a settembre 2022 ha rassegnato le dimissioni è cresciuto del 22% rispetto allo stesso periodo del 2021. I dati sono forniti dall’agenzia specializzata Randstad, che fornisce un quadro completo del fenomeno ribattezzato delle “Grandi dimissioni”.
Vediamo quali potrebbero essere le motivazioni principali che spingono i lavoratori ad abbandonare il proprio impiego.
Boom di dimissioni: perché si lascia il lavoro?
Il fenomeno delle Grandi dimissioni, secondo i calcoli di Randstad, è cresciuto del 44% negli ultimi 18 mesi e nel 76% dei casi ha interessato i millennials, ossia i giovani nati tra il 1981 e il 1996 (detta anche Generazione Y).
Fra le cause principali evidenziate dagli psicologi ci sono l’insoddisfazione, la demotivazione, la mancanza di obiettivi e il progressivo venire meno del senso di appartenenza nei confronti dell’organizzazione.
Opinione condivisa anche dai sindacati. A Il Messaggero di lunedì 23 gennaio, Tania Scacchetti di CGIL spiega infatti che «l’aumento delle dimissioni può avere spiegazioni molto differenti: da un lato può positivamente essere legata alla volontà, dopo la pandemia, di scommettere su un posto di lavoro più soddisfacente o più agile, dall’altro però, soprattutto per chi non ha già un altro lavoro verso il quale transitare, potrebbe essere legato a una crescita del malessere dovuta anche a uno scarso coinvolgimento e a una scarsa valorizzazione da parte delle imprese».
E sarebbe proprio la pandemia, infatti, a giocare un ruolo decisivo nel boom delle dimissioni. Molti lavoratori di ritorno dallo smartworking, infatti, dopo aver sperimentato i benefici del lavoro da casa non sono disposti a tornare indietro alla vecchia scrivania.
Inoltre tra i giovani (soprattutto nati tra il 1981 e il 1996) vige la volontà di mettersi in proprio, soprattutto per via di contratti poco pagati e di mansioni al di sotto degli studi effettuati (cosiddetto demansionamento). In questi casi rinunciare non rappresenta un sacrificio: ‹‹meglio aspettare la prossima occasione che vivere infelici, precari e con pochi soldi in tasca››, in particolare per chi opera nel settore tecnologico e informatico.
Infine, anche la crisi e la necessità o il desiderio di un diverso equilibrio tra vita privata e professionale possono aver spinto a scegliere di dire addio al proprio posto di lavoro.