Si è recentemente conclusa l’udienza presso la sezione lavoro della Corte di Cassazione riguardante il ricorso presentato dal Ministero dell’Istruzione e del Merito contro la decisione della Corte d’Appello di Firenze sul riconoscimento dell’anno 2013 ai fini della progressione di carriera del personale scolastico.
La questione, di rilevanza nazionale, riguarda gli effetti del blocco delle progressioni economiche introdotto per motivi di finanza pubblica e le implicazioni sul trattamento giuridico dei lavoratori.
Anno 2013: due diverse sentenze
La questione è nata da un ricorso di una docente immessa in ruolo nel 2015 dove, nel provvedimento di ricostruzione di carriera, non era stato inserito il servizio svolto nell’anno 2013 in quanto l’art. 1 del D.P.R. 122/2013 aveva imposto il blocco degli avanzamenti retributivi per quell’anno, generando un’ondata di ricorsi da parte del personale scolastico.
La docente aveva quindi adito il Giudice del Lavoro di Lucca, chiedendo che il 2013 fosse riconosciuto almeno ai soli fini giuridici e che il Ministero regolarizzasse le differenze contributive e retributive in un giudizio separato. In prima istanza, il Tribunale di Lucca aveva respinto il ricorso, interpretando la normativa in senso ampio e negando ogni valore giuridico all’anno di servizio svolto nel 2013.
La Corte d’Appello di Firenze ha successivamente ribaltato la decisione, accogliendo il ricorso della docente e sottolineando che il blocco retributivo aveva natura temporanea e si riferiva esclusivamente alla sospensione degli incrementi economici, non alla validità giuridica del servizio prestato. I giudici fiorentini hanno evidenziato che un’interpretazione estensiva della normativa avrebbe danneggiato in modo strutturale la carriera dei lavoratori, risultando in contrasto con i principi affermati dalla Corte Costituzionale.
Anno 2013: le obiezioni del Ministero dell’Istruzione de del Merito
Contro la decisione della Corte d’Appello di Firenze, il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che il D.P.R. 122/2013 non facesse alcuna distinzione tra aspetto giuridico ed economico e che, pertanto, il blocco dovesse essere interpretato in senso restrittivo mentre l’avvocato difensore della docente, Gianfranco Nunziata (convenzionato con il sindacato Snals), ha ribadito che l’interpretazione costituzionalmente orientata adottata dalla Corte d’Appello era l’unica che garantisse il rispetto dei diritti dei lavoratori.
I vincoli di bilancio avranno la precedenza sui diritti dei lavoratori?
Uno degli aspetti più discussi durante l’udienza riguarda le conseguenze economiche di una eventuale decisione favorevole ai lavoratori. Secondo il Ministero, il riconoscimento dell’anno 2013 comporterebbe un aggravio considerevole per le casse dello Stato, data l’ampiezza della platea dei lavoratori coinvolti. Questo dibattito pone in evidenza una sostanziale differenza tra il settore pubblico e quello privato: mentre i lavoratori dello Stato vedono i propri diritti subordinati alle esigenze di bilancio pubblico, nel settore privato i contenziosi riguardanti la progressione di carriera sono regolati da contratti collettivi e da accordi aziendali, senza essere vincolati alle politiche di contenimento della spesa pubblica.
Ecco l’ammontare degli arretrati, distinti per qualifica, che spetterebbero in caso di riconoscimento dell’anno 2013:




Possibili scenari e attese per la sentenza
La sentenza della Cassazione potrebbe fornire un chiarimento definitivo sulla questione. In un’ordinanza precedente (n. 16133/2024), la stessa Corte aveva già indicato che le norme sul blocco retributivo per il 2013 andavano interpretate restrittivamente, in quanto disposizioni eccezionali. Se questa linea fosse confermata, si aprirebbe la strada a una massiccia ondata di ricorsi per il riconoscimento del servizio giuridico del 2013.
In attesa della decisione finale, il caso rappresenta un importante banco di prova per l’equilibrio tra il rispetto dei diritti dei lavoratori pubblici e le esigenze di bilancio dello Stato, sottolineando ancora una volta le profonde differenze tra il settore pubblico e quello privato.