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La scuola dovrebbe lavorare anche di domenica, gentile De Micheli? Il ministero faccia lo stesso

Dopo che 2-3 giorni fa la ministra ai Trasporti, Paola De Micheli, aveva avanzato la proposta indecente (in classe anche la domenica e per tutte le 12 ore della giornata), è arrivata la smentita: mai detto, sostiene la diretta interessata. Eppure, basta fare un giro in rete, non sembra essere così. “Una provocazione, il ministro ne parli al tavolo”, ha chiosato Gissi della Cisl, assieme ad altri illustri interlocutori. Rincara la dose Turi della Uil: protraiamo l’anno scolastico fino a luglio.

Una “provocazione” pericolosa, risposte altrettanto inquietanti: messaggi che gettano un’ombra pesantissima sul (pesantissimo) lavoro che i lavoratori della scuola di ogni ordine e grado hanno fatto: da marzo a luglio in didattica di emergenza – dalla scuola dell’infanzia alle superiori – e svolgendo in presenza gli esami di stato; da luglio a settembre per inventare – a fronte dell’inanità del ministero – il bricolage del ritorno a scuola in sicurezza; da settembre ad oggi, quando, a marce diverse e seguendo provvedimenti (regionali) diversi , lo scacchiere composito della ex scuola della Repubblica – ora scuola delle piccole signorie regionali dei sedicenti “governatori” (e non è ancora finita: rivendicano ancora l’autonomia regionale differenziata!) – si è concretizzato.

Gli istituti scolastici hanno profuso sforzi titanici per non vanificare il senso più autentico e fondativo della scuola. Tutti in classe, con o senza mascherina; a rotazione a casa, in percentuale più o meno significativa a seconda della cubatura dell’aula e del numero degli studenti; solo il 25% in classe, il resto a casa; entrata alle 8, alle 9, alle 10, scaglionando gli orari fino alle 16 o alle 17; scuole chiuse per ogni ordine e grado; scuole aperte, ma le superiori (e anche le terze medie) in didattica di emergenza. Ne abbiamo viste, affrontate – subite – di tutti i colori.

Dobbiamo lavorare anche la domenica, gentile De Micheli? Lo consiglieremmo soprattutto a lei, che durante l’estate e prima non è stata in grado di pianificare e garantire un piano adeguato di trasporti pubblici, che affiancasse – alle scuole rese effettivamente sicure, a causa di quel lavoro preventivo cui accennavo un pre-scuola e un’entrata altrettanto sicure? Quindi lei sta disconoscendo (sostenuta, a quanto pare, dalle dichiarazioni del sindacato, che dovrebbe ricordare le condizioni climatiche del nostro Paese, compararle alle condizioni dell’edilizia scolastica e magari dare anche un’occhiata al nostro contratto) che tutto il lavoro portato avanti non solo non è sufficiente ma che è talmente insufficiente da richiedere soluzioni inimmaginabili in una comunità democratica, che abbia a cuore scuola, diritto al lavoro dei docenti e allo studio e all’apprendimento degli studenti.

Eppure la scuola dal primo giorno di lockdown si è messa a lavorare alacremente per adattare ciò che è per sua natura inadattabile (il processo di insegnamento apprendimento; la socialità che gli è intrinseca; la relazione e la cura, elementi insostituibili per creare sapere significativo) alla distanza, alla assenza e alle condizioni di oggettiva emergenza che stavamo e stiamo vivendo. Non si tratta oggi per i docenti delle scuole superiori e, nei mesi primaverili, per tutti i docenti di semplice smartworking, come negli altri settori: la nostra professione si è tramutata da 8 mesi in impegno e “disponibilità” h24.

Una distanza da sanare con una reperibilità continua, finalizzata a far sentire studenti e famiglie sostenuti; a individuare strategie per esprimere attraverso uno schermo tutto ciò che è possibile trasmettere; a dar corpo a relazioni creative e fino a un anno fa inimmaginabili; a cercare prove e modalità per una valutazione che non rinunci alla formatività e alla serietà, ma eviti le insidie del copia-incolla e dei 1000 – almeno – éscamotage che alcuni studenti e studentesse mettono in atto per adottare scorciatoie e scantonare. Una didattica di emergenza che, peraltro, sta per essere contrattualizzata dai sindacati concertativi (tranne la UIL di Turi, bisogna dire) che convergono su una firma sbagliata, come sostengono i Cobas.

Insomma: di che cosa state parlando? A cosa vi state riferendo? E, soprattutto, come vi permettete queste “trovate” di autopromozione e di demagogiche ricerche di consenso Voi, proprio voi, De Micheli, Azzolina (caparbia sostenitrice di un concorso inutile e dannoso, che non ha sortito altro effetto che il non essere celebrato, rendendo la situazione ancora più complicata), governo, firmatari di contratto, che in 8 mesi nemmeno per una volta avete preso in considerazione quello che l’emergenza Covid ha posto drammaticamente in luce. Che le classi “pollaio”, il bersaglio di tante vostre campagne elettorali e promesse urbi et orbi, oltre ad essere una misura contraria al diritto allo studio e all’insegnamento configurano – per molti versi – una condizione pericolosa. Su questo no, nessuna provocazione; nessun proclama, in tempo di non elezioni; nessuna indignazione. Facile. E devastante. L’immagine di questo Paese.

L’articolo La scuola dovrebbe lavorare anche di domenica, gentile De Micheli? Il ministero faccia lo stesso proviene da Il Fatto Quotidiano.

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Fonte: ilfattoquotidiano.it

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